MUSHROOMHEAD Beautiful Stories For Ugly Children Filthy Hands / Megaforce Records Distribuzione italiana: si Genere: Alternative Metal / Horror Nu Metal Support: CD - 2010 |
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Strana storia quella degli americani Mushroomhead di Cleveland, che
pubblicano il primo album nel lontano ’93 e arrivano oggi al settimo
sigillo. Molti conoscono la rivalità che li ha contrapposti agli
Slipknot, ma la band dello Iowa ha pubblicato il debutto ben tre anni
dopo questi, poi c’è stato il contratto non firmato con
la Roadrunner, questa ha poi ripiegato sugli Slipknot, portandoli ad
un successo impensabile, che forse era destinato ai mostri di Cleveland,
ma la storia è andata diversamente e oggi questo folle insieme
di pazzi scatenati ritorna sul mercato dopo un silenzio durato quattro
anni. Comunque le similitudini fra le due band sono davvero molte, in
primo per l’uso delle maschere orrorifiche, poi per il numero
di membri, otto e infine per il genere musicale proposto, un alternative
metal particolarmente malefico, che gioca a mescolare anche suoni industrial
e nu metal. La formula negli anni non è cambiata molto, ci sono dischi con produzioni differenti, un diverso cantante, ma in fondo il genere proposto è rimasto sempre lo stesso con poche varianti. Buona la partenza affidata alla ruvida “Come On” dal testo oltraggioso, cattiveria metal e tastiere fuse in un mix di melodia e furore metallico, con una voce che graffia parecchio. “Inspiration” altalena fra ritmi tribali e aperture industrial, la parte ritmica la fa da padrona, un brano più sperimentale, anche se riuscito solo a metà. “Slaughterhouse Road” propone un riffing stoppato molto nu metal, niente di eccezionale. “I’ll Be Here” è una ballad ruffiana, sorprende un po’ che un gruppo così efferato giochi anche la carta della ballad, ma la perversione del cantato chiarisce che gli intenti della band rimangono molto bellici. L’assalto frontale riparte con la seguente “Burn the Bridge”. “Holes in the Void” sembra una marcia funebre, brano molto dark. “Harvest the Garden” è il brano più tribale del disco, con suoni industrial che si intersecano a sfuriate metalliche, non male. Altra ballad piuttosto inutile è “The Harm You Do”, ma a questo punto il disco non propone più grosse novità e non fa altro che girare su se stesso apportando piccole variazioni sul tema. I Mushroomhead devono soffrire la sindrome degli eterni secondi e ci provano in tutti i modi a riacquistare terreno, ma dubito che ci possano riuscire con un album come questo, che piacerà ai loro fans più sfegatati, ma che propone davvero poche idee su cui contare. GB Sito Web |
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