Se dobbiamo tracciare una mappa italica della new wave, assolutamente
non possiamo prescindere dai Neon. Anch’essi fiorentini, come
i Diaframma, i Litfiba ed i Moda, anch’essi invaghitisi di quel
suono nuovo e fresco che proveniva dal nord, dalle desolate periferie
industriali di Manchester, di Leeds, di Sheffield, di Liverpool, dallo
spleen metropolitano che torturava i giuovini londinesi, humus fecondo
dal quale trassero forza artistica insiemi passati alla storia del
nuovo rock. Neon, benedetti/maledetti, amati/odiati, eyeliner che
sbava su volti esangui dalla pelle tirata dalla stanchezza che non
è solo fisica, ma soprattutto psichica, ed il ritmo serrato
di “Isolation” che scuote le viscere, bandiera di uno
stile, paradigma di un ideale, la Mitteleuropa che si ripiega su se
stessa, soffocandosi nel suo stesso, disperato ultimo conato di vomito.
Epico ed oscuro è il manifesto musicale dei Neon, così
lontani materialmente da Albione, ma sentimentalmente limitrofi, fino
a toccarne i lembi degli stendardi sfilacciati, ad Ultravox, Japan,
Classix Nouveaux, Gary Numan (la maestosa “Harry”), Bauhaus
(l’algidità sterilizzante di “Spiders”, con
le lame delle chitarre ad affondare con spietata determinazione nella
piaga purulenta), od al martellare sfibrante dei Joy Division (la
marziale “Red light” incede come la marcia di truppe in
parata). Centinaia di date, in Italia ed in Europa, nel 1982 di supporto
ai Simple Minds, nell’84 a John Foxx, allorquando i lettori
di Rockerilla li elessero gruppo wave dell’anno. “Information
of death” si arrampica sui resti arrugginiti di rovinanti architetture
post-industriali, pronta a librarsi nell’aria ammorbata dalla
caligine e dalla polvere di ferro, per poi sfracellarsi al suolo,
dopo un volo di morte, fra residui tossici e poltiglie maleodoranti.
Marcello Michelotti canta come una iraconda divinità dell’Ade
sprofondata nel mare del peccato, l’apporto strumentale rifulge
nella sua scarnificata ingenuità, brandelli di carne e grumi
di sangue imbrattano la tavola delle dissezioni, ossa calcinate da
un sole spietato biancheggiano sulle distese di scorie residuo della
Civiltà estinta.
Furore iconoclasta, ma non solo: “Last chance” e “Lobotomy”
si distendono su d’un tappeto ammiccante e danzereccio, fra
svolazzi di synth che le drappeggiano come sciarpe di seta pregiata,
la scansione irregolare di “My blues in you” conferma
la maturazione dei Neon, pronti ad affrontare l’età adulta
che portò, fra cambi di formazione ed il susseguirsi delle
pubblicazioni, in onusta eredità “Dark age”, “Rituals”,
“Red light”, i tre capitoli di “Crimes of passion”.
Poi, il vuoto tra il 1990 ed il 1997 e, per reazione, l’inestinguibile
voglia di Neon, testimoniata dalla triplice ristampa di “Boxed”,
il cofanetto pubblicato nel 2006 e custodente la discografia esaustiva
dell’insieme, ed infine l’anno successivo la notizia che
i quattro avrebbero intrapreso un reunion-tour che finalmente ha portato
Marcello Michelotti, Piero Balleggi, Adriano Primadei e Leo Martera
a calcare nuovamente i palchi. Mi accusate di soccombere alla nostalghia?
Reo confesso (nel 1986, data che chiude questa antologia, celavo nel
taccuino una foto di Bowie ed una di Ferry), lo ammetto, ma è
così dolce lasciarsi morire, in questo infinito crepuscolo
che sancisce la fine del tutto…
Tredici episodi, tutti fondamentali, ognuno irrinunziabile, tasselli
di un puzzle dai lembi di metallo tagliente, da maneggiare con grazia,
attenti a non ferirvi. Da lodare l’impegno di Intuition Records
(www.myspace.com/intuitionrecords): confezione in jewelcase con booklet
di dodici pagine, più il video di “Isolation”;
va premiato senza indugio. AM
Contatti: www.capture-music.com
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