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Ho imparato a conoscere Django attraverso il Gyspy Jazz o Jazz Manouche
se preferite, ma la musica di questo zingaro rivoluzionario (in senso
artistico) è molto più complessa e ricca, questo disco
uscito nel centenario della sua nascita è un tributo al suo
apporto al jazz mondiale nel suo complesso. Come esprimono bene le
note sul booklet, Django ha traghettato il jazz, americano e “negro”
(non voglio essere offensivo, ho usato questo termine per evocare
tutta la sua carica di sofferenza), nella bianca e compassata Europa
e del resto forse era necessario che a compiere un’operazione
di questa portata fosse proprio un musicista ai margini del mondo
colto, ai margini di una società che ha sempre provato un imbarazzante
disprezzo per tutto quello che non è mai riuscita a capire,
uno zingaro che, nonostante avesse una mano mutilata, è diventato
uno dei chitarristi più influenti della storia.
Il mantovano Nicola Bardini ha messo insieme un quintetto privo di
chitarra per celebrare l’arte di questo grande chitarrista,
operazione sicuramente ambiziosa, ma che cela un amore sincero e profondo
verso il geniale Django. Le nove tracce proposte sono nel segno di
un jazz rigoroso, che basa tutta la sua forza nelle soluzioni personali
di Reinhardt, nelle sue trovate armoniche, nel suo guizzo creativo,
che Nicola e amici rievocano con sicurezza e passione. L’intento
è proprio quello di mostrare la modernità di questo
artista, far vedere come la sua musica sia geniale anche senza lo
strumento che lo ha reso celebre, intento sicuramente meritevole di
attenzione. Poi largo spazio è stato dato all’improvvisazione
e alle dinamiche fra i cinque musicisti e non poteva essere diversamente,
per non tradire lo spirito di questa musica.
Ancora una volta una bella occasione per celebrare Django, che ancora
sorride sotto quei suoi baffetti un po’ guasconi. GB
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