Gli Omasphère sono un gruppo di cinque elementi affascinati dalle musiche etniche orientali, alcuni di loro hanno collaborato coi Rajna, sono molto vicini agli Irfan e di sicuro si ispirano ai Dead Can Dance. Nel 2005 hanno autoprodotto un album, ma questa è la prima uscita ufficiale della band. La strumentazione usata da questa band è composta da percussioni varie, cimbali e altro, con grande attenzione alle parti vocali. Loro stessi definiscono la loro musica come meditativa, atmosferica, una trance etnica orientale e credo non ci sia definizione migliore.

Fin dalle note iniziali si respira un aura sacrale, “Noum” è costruita su un coro interamente vocale, che ricorda il gregoriano e il canto dei monasteri orientali del monte Athos, un brano di apertura coraggioso, ma che chiarisce immediatamente il tenore del disco. “Platoun” è più musicale, meno solenne del brano precedente, ma più etnica e facile da ascoltare, rimane comunque alta la forza trascendente e meditativa della musica proposta. Questa è proprio la chiave di lettura di tutto l’album, musica trascendente, a tratti sciamanica, volutamente lenta, perché i cammini interiori richiedono tempo, pazienza, determinazione, la fretta e l’urgenza sono incompatibili e quindi bandite. Affascinanti le percussioni terrene di “Ortem” su cui spazia il cantato molto orientale, mentre la title track ci riporta su un piano puramente spirituale, appena accarezzato da un morbidissimo tappeto di tastiere. Le caratteristiche di queste canzoni rendono la proposta degli Omasphère limitata ad un pubblico elitario, ma la qualità è decisamente alta per cui penso non sarà difficile trovare un audience adeguata. Molto bello anche l’artwork proposto nel booklet, che presenta delle illustrazioni decisamente intense di Evangile Papavassiliou.

Gli amanti dei gruppi citati in apertura non devono farsi sfuggire questa perla, perché è un disco veramente bello, sicuramente non facile, ma proprio per questo ancora più interessante. GB

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