Dopo cinque anni Steve Overland (Wildfire, The Ladder, Shadowman e
soprattutto FM) dà una nuova lucidatina alla sua carriera solista
che già vanta due buonissimi albums ("Break Away"
nel 2008 e "Diamond Dealer" l'anno successivo) e lo fa con
"Epic", album prodotto (e in parte suonato) dal valente
Mike Slamer (Streets, Steelhouse Lane, Seventh Key, etc) che garantisce
anche un suono di prima categoria, pulito ed energico come il genere
richiede ai migliori. Accompagnato da Christian Wolff (ch, tast -
Rob Moratti, On The Rise), Larry Antonino (bs - Unruly Child, Hurricane,
Brad Gillis, etc), Jay Schellen (bt - Air Pavilion, GPS, Hurricane,
Sircle Of Silence, Unruly Child, World Trade, etc), Billy Greer (Kansas,
Seventh Key) e Billy Trudel (The City, Dirty White Boy) ai cori, Fredrik
Bergh (Street Talk, Bloodbound) alle tastiere in un paio di brani,
Steve ci delizia con dieci brani di immacolata matrice AOR, molto
più vicini al modello FM rispetto ai precedenti albums solisti
e con un riconoscibile tratto alla Seventh Key dovuto alla forte personalità
di Slamer, e ciò non suoni in senso negativo!
L'opener "Radio Radio" è uno svelto AOR orecchiabile
ed accattivante, un bell'inizio decisamente surclassato dalla successiva
"If Looks Could Kill", superbo esempio di grande melodic
rock dove tutto è studiato per funzionare ed il cui refrain
è di quelli che non si levano facilmente dalla mente. La strofa
di "Stranded" non vince la palma dell'originalità,
ma è un'eregi rampa di lancio per il bel ritornello tutto melodia
e passione. "Rags To Riches" indurisce notevolmente il sound,
ma la sua energia contrasta in qualche modo col timbro di Overland
più adatto ad altre ambientazioni sonore come la più
ariosa e delicata "Liberate My Heart" o anche "Down
Comes The Night", con quelle tastiere anni ottanta ad accompagnare
i taglienti riffs del bravissimo Wolff. "If Your Heart's Not
In It" e "So This Is Love" suonano molto alla Toto
dei primi due albums e si lasciano godere dalla prima all'ultima loro
nota, mentre "Rock Me" ha una veste più blues incardinata
su tematiche più tipicamente hard rock, insomma, se conoscete
i Bad Company di "Holy Water" avete una certa idea di quanto
tento di trasmettere.
Ci avviciniamo alla conclusione del cd con "Wild", buon
filler melodico e ben arrangiato che precede "The End Of The
Road", appassionato rocker che mescola FM e Steelhouse Lane con
intrecci simil-prog, hard rock e AOR che finiscono col partorire un
brano interessante e coinvolgente.
Buon disco, forse giocato un pò troppo sul sicuro, ma di gran
classe e da assimilare brano dopo brano, giorno dopo giorno. ABe
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