Ecco
il quarto album per il progetto capitanato dall’ex Dream Theater
Derek Sherinian, questo sorprendente tastierista ci ha abituato ad
aspettarci numeri sorprendenti, al limite delle possibilità
umane, dove la tecnica sembra essere una ragione di vita. Alla batteria
siede Virgil Donati, mentre alla chiarra troviamo vari guests, su
quali spicca il geniale Holdsworth.
La musica proposta viaggia fra il metal, il prog e la fusion, un progetto
interamente strumentale che potremmo chiamare fusion metal se vi piace,
perché il jazz è davvero molto presente, mentre di rock
ce né veramente poco, quasi niente. I passaggi sono davvero
molto arditi, con continui cambi di tempo, questa complessità
talvolta risulta persino eccessiva e mi sembra che Allan Holdsworth
si sia prestato ad un gioco dove ha messo più la testa che
il cuore. Del resto Derek ha dichiarato “Nessuno suona musica
più complessa dei Planet X”, credo che questa affermazione
sia piuttosto presuntuosa da parte sua e non credo nemmeno che la
“complessità” fine a se stessa sia un valore che
meriti particolare attenzione. Insomma io rifiuto l’idea che
più un disco è complesso e più è bello.
Anzi, a me le palestre per virtuosi proprio non vanno giù.
Tralasciando i miei gusti personali, ci troviamo di fronte ad un disco
suonato in modo superlativo, da musicisti davvero impressionanti,
ma del resto negli anni settanta il prog è morto proprio nel
momento in cui stava diventando così complesso da non essere
più amato dalla gente, che si è rivolta in un baleno
verso il fin troppo semplice punk. Per cui questo disco sarà
anche bello, ma a me non ha dato proprio niente e mi spiace per Holdsworth
che è un chitarrista che amo molto. GB
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