Ci sono complessi nella storia del Rock mondiale che sono passati
per certi versi quasi inosservati dal grande pubblico, ma che nella
realtà hanno lasciato un importante contributo alla causa “evoluzione
del Rock”. I Pretty Things di Phil May (voce) Dick Taylor (chitarre),
Wally Allen (basso) e Twink (batteria) sono in qualche modo dei precursori.
Proprio con questo “S.F. Sorrow” del 1968, inaugurano
ufficialmente l’era degli album concept. Di poco anticipano
gli Who di Pete Townshed, il quale ammetterà in seguito di
essere stato influenzato dai Pretty Things per la realizzazione del
capolavoro (concept) “Tommy”.
Tanta carne al fuoco in questo Lp, un mix di idee che vanno dal buon
songwriting, variegato ed elegantemente spassoso, alla scelta indovinata
delle strumentazioni. Le ritmiche di Twink (dei Tomorrow) sono stupefacenti.
C’è di tutto, dall’Hard & Blues graffiante,
alle inevitabili influenze dei Beatles ed addirittura interventi Folk
che in un futuro prossimo troveremo nei Jethro Tull, ascoltare “Private
Sorrow” per credere. C’è di tutto dicevo, anche
la Psichedelia, un ibrido fra Beatles e Pink Floyd. Tyler ama insistere
con i propri riff, come grosso modo facevano i Kinks pochi anni prima
e “Balloon Burning” ne è esempio più che
chiarificatore. Ancora Beatles nostalgici ed oscuri in “Death”
( il sitar vi dice niente?) ed ancora nella successiva e psichedelica
“Baron Saturday”. Un disco perfetto sotto molti punti
di vista, dove la ricerca non va mai a soffocare la melodia, anzi
la va ad esaltare. Utile anche per questo scopo l’apporto delle
tastiere dell’ospite John Povey. Solari i frangenti acustici
come in “The Yourney”, più oscuri invece gli intrecci
vocali di May con le chitarre drammatiche di Taylor in “I See
You”.
Un disco stupendo, un viaggio a ritroso nel tempo che ci riserva numerose
sorprese. Bene ha fatto la Snapper Music a ristamparlo e ad avergli
aggiunto ben quattro bonus tracks. Di li a poco Tayler se ne andrà
per andare a raggiungere un altro storico gruppo del periodo: gli
Hawkwind, ma questa è un'altra storia. La discografia della
band prosegue anche con buoni risultati, come l’ottimo “Parachute”
del 1970. Opere come “S.F. Sorrow” non devono essere assolutamente
dimenticate, perché noi dobbiamo sempre ricordarci da dove
veniamo. MS
Altre recensioni: Bare
As Bone, Bright As Blood
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