Il quarto vuoto è il Rub’ al-Khali, il secondo deserto
di sabbia più grande al mondo. A mio parere questo non spiega
il progetto del quartetto vicentino, che si concretizza in un prog
rock venato di fusion. La musica di questi artisti è tutt’altro
che “vuota”.
Lo spessore tecnico è alto, sei brani mediamente lunghi con
passaggi strumentali coinvolgenti e una buona dinamica, tra momenti
riflessivi e poetici e altri pieni di vigore e di trasporto emotivo.
Il disco è strumentale e un po’ di cantato non guasterebbe,
però è anche vero che in molti casi i testi legati al
prog risultano stucchevoli e spesso appesantiscono l’ascolto
invece di favorirlo. In questo caso il disco fila liscio fino alla
fine. Brani trascinanti come “Coscienza Sopita” danno
la misura della bravura dei QV, con passaggi ritmici ricchi di belle
dinamiche e un tessuto musicale avvincente. In “Apofis”
mostrano il lato più jazz e sperimentale per il piacere degli
ascoltatori più esigenti. Bellissima “Due Io”,
con le sue aperture spaziali e oniriche.
Un album di prog emozionante, che si muove sinuoso come un serpente
e ti cattura ascolto dopo ascolto. GB
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Il termine Progressive Rock nel tempo ha assunto differenti significati,
questo ha fatto sì che attorno ad esso si aggiri oggi molta
confusione. Basta visitare la pagina web Progarchives per rendersi
realmente conto di quanti sottogeneri è composto il Prog odierno.
Generalmente il termine si attribuisce ad una musica “datata”,
anni ’70, sinfonica e piena di lunghe suite, tuttavia esso viene
estrapolato dal lontano Jazz degli anni ’50 in “Progressive
Jazz” dove il significato sta proprio per “Progredire”.
Non necessariamente sperimentazione obbligatoria, ma innesti di vari
generi che con gli anni comunque si sono formati naturalmente grazie
all’evoluzione dei tempi. E qui scatta la confusione. Ma la
musica per se è un mezzo semplice per emozionare, le parole
non servono, come diceva Frank Zappa “Parlare di musica è
come ballare di architettura”, e quindi veniamo alla musica.
I Quarto Vuoto suonano un Prog completamente strumentale che bene
si incastonerebbe nella discografia Kscope, ossia quello sognante
e ricercato alla Porcupine Tree prima era, ma anche con lo sguardo
rivolto al passato, non mancano i riferimenti ai King Crimson più
nervosi. Lo spirito della band è quello di colpire l’animo
dell’ascoltatore con le sue arie, senza sprofondare in inutili
tecnicismi, anche se la chitarra svolge un lavoro molto importante
e la ritmica è ben rodata e presente con sferzate o virgole
a seconda delle necessità. Le tastiere non sono mai invasive,
piuttosto da tappeto ed atmosfera che da imponenti assolo. Il disco
si presenta suddiviso in sei tracce, tutte di media e lunga durata.
L’artwork oscuro è realizzato da Lorenzo Giol e bene
si amalgama all’ascolto della musica.
Ma chi sono i Quarto Vuoto? Sono un gruppo trevigiano oggi composto
da Edoardo Ceron (basso), Nicola D'Amico (batteria), Mattia Scomparin
(tastiera e pianoforte) e Luca Volonnino (chitarra). Si formano nel
2010 e all'inizio del 2014 pubblicano con il cantante e violinista
Federico Lorenzon l'omonimo EP autoprodotto “Quarto Vuoto”,
ricevendo ottime recensioni da critici del settore sia in ambito italiano
che internazionale. Partecipano e vincono nel tempo differenti contest
fra i quali Vicenza Rock contest 2013, Veneto Rock contest (Treviso)
2013 e FreeYoungMusic 2011. Ma anche in studio le atmosfere riescono
a convincere l’ascoltatore, fra crescendo sonori ed arie leggiadre
su note di pianoforte.
Il disco si apre con “Nei Colori Del Silenzio”, dove suoni
di tastiere circondano subito l’ascoltatore sollevandolo dal
mondo terreno. Un giro armonico decisamente semplice trascina ipnoticamente
la melodia, mentre la batteria interviene sporadicamente e delicatamente.
Un trip psichedelico tanto per iniziare il viaggio che prosegue con
“Coscienza Sopita”. E’ il basso che introduce all’ascolto,
per poi dialogare con la batteria più impegnata e presente.
La chitarra echeggia inizialmente con sferzate psichedeliche per poi
procedere in un lungo solo di Crimsoniana memoria.
I Quarto Vuoto dimostrano di avere personalità e se mi azzardo
a fare qualche paragone è solo per indicarvi le sonorità
intraprese, questo per l’onestà di cronaca. Molto interessanti
gli undici minuti di “Impasse” con Giulio Dalla Mora come
ospite al sax tenore. Interessanti perché c’è
un inizio pacato, oscuro, psichedelico e ricercato, quasi Krautrock
per poi sfociare in un crescendo elettrico di matrice decisamente
Math Rock. Altri undici minuti di musica piena, elettrica e ricercata,
questa volta in “Apofis”, dove torna anche il sax. Il
lato più duro del gruppo si esibisce in questo frangente. Giochi
con eco di chitarra in “Due Io” per poi gettarsi nella
distorsione. Il brano si alterna quindi fra schiaffo e bacio.
Il momento migliore a mio gusto personale risiede nella conclusiva
“Tornerò”, con solo enfatico e una melodia davvero
toccante. Molti ci coglieranno i Mostly Autumn, altri del Prog italiano
anni ’70, tuttavia è l’insieme che funziona, grazie
anche al violino dell’ospite Mauro Spinazzè.
Un disco decisamente maturo, dove i componenti dimostrano di sapere
il fatto loro e se mi consentite lasciatemi fare ulteriori complimenti
perché suonare oggi del Prog strumentale è davvero coraggioso,
praticamente una nicchia nella nicchia. Molto valido. MS
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