Dennis Rea lo abbiamo già incontrato, in particolare per il
suo precedente disco solista del 2010, e non mi dilungo in note biografiche.
Si tratta di un musicista fuori dai canoni convenzionali, che ancora
crede nella ricerca e nella sperimentazione e proprio per questo ho
di lui una stima profonda.
Questo suo nuovo lavoro è composto da quattro lunghi brani
molto diversi tra loro, al punto che sembra non esserci un filo conduttore.
Però leggendo le note presenti sul booklet troviamo che vuole
essere la continuazione del disco precedente, teso a rileggere alcune
musiche del centro Asia, idealmente una zona che idealmente va dalla
Russia al Tibet, sempre nelle note troviamo tutti i riferimenti puntuali.
Nell’ascolto ci immergiamo quindi in mondi lontani e la sensazione
è quella di trovarsi proiettati in un “Milione”
(Marco Polo) musicale o se preferite una “via della seta”
musicale. Chiaramente si affrontano sonorità a cui non siamo
abituati però Rea traduce questi suoni in un linguaggio jazz
rock che possiamo accostare senza timori. Una sorta di fusion tra
un oriente poco noto e un occidente desideroso di sperimentare. Ne
escono suoni ammalianti, da mille e una notte, una pagina di cultura
musicale che scalda il cuore e, come per l’opera di Polo, mette
voglia di viaggiare. GB
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