| Sabato 
            sera pensavo di andare a vedere un bel concerto, al PalaBAM di Mantova 
            arrivava un nome storico, che non ha certo bisogno di presentazioni: 
            il New York boy Lou Reed. Un’occasione imperdibile. Ho sempre 
            provato una grande stima per questo artista, che ha saputo come pochi 
            altri essere un rifermento culturale e artistico di primo piano, un 
            artista che ha sempre vissuto con coerenza, lontano dai fasti, il 
            suo cammino musicale. Nonostante questo non ho mai seguito da vicino 
            il suo percorso e non lo conosco così bene come dovrei, però 
            volevo essere presente all’evento. Mi aspettavo una bella “raccolta” 
            di canzoni umorali e di ballate metropolitane, un rock genuino e sincero 
            con quello stile crudo e ruvido che ha sempre contraddistinto il nostro, 
            mi aspettavo una serata piacevole e rilassante e invece con un notevole 
            stupore e una certa meraviglia ho assistito ad uno dei più 
            bei concerti che abbia mai visto in vita mia.
 Il Transformer Lou è salito puntuale sul palco, solo un piccolissimo 
            ritardo di qualche minuto e poi si sono spente le luci e i musicisti 
            hanno presto posto sullo stage senza entrate trionfali, ma in modo 
            semplice e spontaneo, come una vera rock ‘n’ roll band. 
            La line up era piuttosto insolita: due chitarre, due bassi e batteria. 
            In particolare erano i due bassi che colpivano, quello a sinistra 
            del palco suonava un contrabbasso elettrico a sei corde con archetto 
            e più raramente con le dita. Mentre l’altro alternava 
            il basso elettrico a un contrabbasso elettrico, o forse una viola 
            elettrica, o alla chitarra. Questi due insieme creavano un pazzesco 
            Wall of Sound, che pompava in modo pazzesco. Il secondo chitarrista 
            si occupava delle parti ritmiche, mentre Reed sferragliava a tutto 
            spiano. Reed ha dimostrato di essere anche un grande chitarrista, 
            il suo stile pieno era molto coinvolgente ha dato una vera lezione 
            di classe. Il risultato era assolutamente straordinario, molto psichedelico 
            e acido, molto, ma molto seventies, ma con un’esecuzione ineccepibile.
 
 Molti dei brani proposti, che in circa un’ora e mezza sono stati 
            dodici più un solo bis, iniziavano come ballate e poi grazie 
            a dei crescento entusiasmanti si trasformavano in un hard rock psichedelico, 
            che avrebbe fatto schiattare di invidia anche formazioni rocciose 
            come i Deep Purple, ma che lasciava dietro anche tanti gruppi metal 
            che un sound così se lo sognano. Per certi versi l’atmosfera 
            ricordava i primi Pink Floyd di Syd Barret, ma il risultato era molto 
            al passo coi tempi e non risultava mai caotico o “improvvisato”, 
            tutto era perfetto, tutto era al posto giusto. Nonostante l’irruenza 
            e la forza espressiva impressa dalla distorsione e dai vari effetti 
            usati, era sempre molto chiaro il linguaggio musicale, Reed e compagni 
            erano sempre padroni della situazione e portavano l’ascoltatore 
            esattamente dove volevano. Anche i brani dilatati a dismisura avevano 
            una loro completezza e una compiutezza che lasciava un grande senso 
            di appagamento nel pubblico. Pochi brani famosi e tanta musica, Musica 
            con la maiuscola, perché ci sono tanti nel rock che si limitano 
            a fare delle canzoni a volte anche molto belle e indimenticabili, 
            ma sabato abbiamo ascoltato della vera Musica e che Musica.
 
 Reed è un gigante del rock e a distanza di tanti anni è 
            ancora qui a insegnarci come si deve fare il vero rock, è ancora 
            qui a dettare le regole del gioco e mi rendo conto che, purtroppo, 
            abbiamo ancora bisogno di maestri come il grande Lou, perché 
            dopo quarant’anni di onorata carriera fa ancora dei concerti 
            che lasciano un segno profondo e indimenticabile nel nostro cuore. 
            GB
 
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