Questa storica band norvegese, che tra il ’73 e il ’79
ha prodotto alcuni album pregevoli, è patrimonio degli appassionati
più curiosi. Più che di un gruppo si trattava di un
collettivo, infatti la formazione ha subito molti cambi, era una specie
di filosofia e questo ha influito sulla produzione, che è molto
varia. Inizialmente molto prog rock, poi via via più jazz e
fusion, con pennellate di funky.
Inner Voice è il quarto album. Di prog, inteso in senso classico,
ne è rimasto poco, dominano la fusion e il funky, con melodie
contagiose, quasi pop, il risultato è splendido, anche se questo
ha allontanato parte del pubblico, quello più rock per intenderci.
Comunque nel 1977 tutte le formazioni storiche stavano facendo dischi
influenzati dalla crescente moda danzereccia o eventualmente cercavano
di sfornare delle hit sull’onda dell’easy listening. I
Ruphus hanno aderito a questa ondata con una classe cristallina e
i cinque brani del disco sono ottimi esempi di rock contaminato. Oggi
questa commistione di generi non rappresenta più un problema,
ma in quegli anni fu una delle cause della “fine” di un’epoca.
Oggi riascoltare questi brani densi di buona musica è un piacere.
Ovviamente preferisco la prima parte della loro discografia, ma ammetto
che questo disco mi è piaciuto e se non siete troppo “duri
e puri” provate ad ascoltarlo. GB
Altre recensioni: New Born Day; Manmade
|