Rock Impressions
 

INTERVISTA AGLI SHY (versione inglese)
di Giancarlo Bolther

Ciao Tony, cosa ci puoi raccontare della lavorazione del nuovo album?
Le nuove canzoni e il nuovo album nel suo complesso sono radicati profondamente nella tradizione del gruppo, abbiamo continuato a fare la nostra musica e siamo rimasti fedeli al nostro stile. In altre parole questo nuovo lavoro segue idealmente il sound dei nostri album precedenti come “Unfinished Business”, senza nessuna differenza radicale. Io trovo che sia molto positivo poter affermare che il gruppo è riuscito a costruirsi un proprio stile e che ha trovato la propria strada da seguire. I brani in sostanza sono classiche canzoni AOR, è lo stile che abbiamo sempre avuto ed è quello per cui siamo conosciuti.

Qual’è la canzone del nuovo disco che vi rappresenta al meglio e perché?
Probabilmente è il brano “High Time”, si tratta di uno standard AOR ed è il tipico brano che la gente si aspetta da noi, un condensato di tutto quello che significano gli Shy e che dimostra cosa siamo capaci di fare. Ci sono le nostre tipiche armonie, le nostre linee melodiche e tutto funziona bene nel suo insieme.

Quindi non ci sono delle grosse differenze con i vostri album precedenti?
Gli Shy sono sempre stati una rock band che propone un sound americano piuttosto commerciale e che molto raramente ha introdotto delle variazioni nel proprio sound, eccetto forse nei primi anni novanta, ma questo non ha veramente prodotto dei vantaggi per noi. Questo nuovo disco, quindi, mantiene il nostro stile e cerca di rafforzare quello che il gruppo ha sempre fatto: delle potenti AOR songs.

Per cui si può affermare che il vostro sound è stato influenzato dai gruppi americani?
Penso che sia corretto affermare che aver ascoltato ed aver lavorato con dei musicisti americani lungo tutti questi anni abbia avuto un certo impatto sul nostro modo di comporre canzoni. Abbiamo suonato con i Chicago, con Michael Bolton, con Don Dokken e con Bob Kulick e c’è sempre qualcosa che ti rimane dentro e che porti con te per sempre e che emerge quando componi delle canzoni, che arrichisce il tuo stile personale.

A cosa vi siete ispirati per comporre il nuovo album?
A molte cose diverse, con riferimenti rivolti a tempi e posti molto differenti. Per esempio “High Time” si riferisce ad un episodio avvenuto in Baltimore quando ho dovuto fare una corsa contro il tempo perché avevo perso il treno per andare a fare uno spettacolo. “Where is the Love?” parla di una famiglia in cui un figlio non è più tornato a casa. Principalmente, quando scrivo, prendo ispirazione dai miei ricordi.

Quanta tradizione e quanta modernità avete messo in questo nuovo album?
In generale, come ti ho già anticipato, si tratta di un album che prosegue nella nostra tradizione, ma è anche il primo album che abbiamo registrato utilizzando diversi programmi informatici. Credo che in questo senso non si possa essere più moderni di così. Comunque la nostra attenzione è sempre stata rivolta alle canzoni, queste sono una vasta estensione di un tema comune che è diventato tradizionale per lo stile del nostro gruppo.

Il vostro chitarrista Steve Harris ha lo stesso nome di un famoso bassista, questo vi ha creato qualche problema?
No davvero, ma molti giornalisti si divertono a fare sempre dei commenti su questa omonimia!

Siete nati all’inizio degli anni ’80 e mi ricordo che la critica aveva accolto molto bene i vostri dischi, ciononostante non avete mai raggiunto una grande popolarità a differenza di altri gruppi simili al vostro, perché secondo te è andata così?
Si, è vero quello che dici, il motivo è dipeso da una convergenza di fattori diversi. Il contratto più importante che abbiamo firmato è stato quello con la RCA, che è fallito da solo, la casa discografica aveva distribuito i nostri albums con allegati dei prodotti omaggio per lanciare le vendite con una campagna veloce, invece l’operazione si tramutò in un vero disastro perché la posizione del nostro album in classifica fu osteggiata dalle società che manipolavano le classifiche. Poi abbiamo suonato come supporto a gruppi che, probabilmente, non erano molto in linea con il nostro stile. Infine penso che ci sia stata una componente autodistruttiva interna al gruppo stesso, perché a quel tempo non eravamo abbastanza maturi, in una battuta si può spiegare questo come “Too much… Too young”.

Quali sono i ricordi più belli che avete legati agli anni ottanta?
Sono quelli legati ai concerti che abbiamo fatto in Europa e negli Stati Uniti. Il pubblico italiano era fantastico!

Avete accumulato una certa esperienza nel mondo musicale, che cosa vi ha insegnato e quanto è cambiato il business musicale in questi anni?
In effetti credo di essere stato a contatto col mondo del business musicale per più di vent’anni. La cosa che principalmente ti colpisce è quando incontri qualcuno che hai sempre ammirato fanaticamente e conoscendolo ti accorgi invece di come sia terra, terra e molto uguale a te. Ho imparato a non credere mai nelle promesse, solo i fatti concreti sono utili per la carriera futura di un musicista. Bisogna sempre tenere aperte tutte le possibilità e non vendere mai la pelle dell’orso prima di averlo preso. Secondo me il business è cambiato in modo radicale, negli anni ottanta c’erano le grandi compagnie che spendevano un sacco di soldi, queste stanno sparendo a favore di tante piccole etichette che nascono in tutto il mondo e che offrono contratti molto più limitati.
I processi di registrazione e i dischi stessi si sono computerizzati, il mondo sembra sia diventato matto per il karaoke e c’è sempre più gente che riesce a vivere cantando le canzoni di altri artisti. A me piace scrivere canzoni mie e questo lo preferisco di gran lunga piuttosto di cantare roba scritta da altri, ma lavorare come session vocalist, una cosa che faccio spesso per altri artisti, può essere molto remunerativo e fortunatamente sembra che ci siano sempre più occasioni per poterlo fare.

Cosa ne pensi dei nuovi gruppi e dei nuovi generi musicali, ti interessi alla musica di oggi?
Sì certo, la seguo sempre con grande interesse. I giovani stanno facendo cose interessanti nella musica e sarà sempre così. Dagli Evanescence fino ad Alanis Morisette ci sono molti ottimi artisti presenti sul mercato. Non mi piacciono invece le boy bands, che sono diventate molto popolari in Inghilterra negli ultimi due anni, ad essere onesto preferisco piuttosto ascoltare il sound classico dei gruppi come i Pink Floyd o i Rush.

Cosa state state preparando per il prossimo tour, verrete a suonare in Italia?
Attualmente stiamo facendo le prove in Birmingham, per preparare il tour e non vedo perché non dovremmo poter venire a suonare nel vostro paese per promuovere il nuovo album!

Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro degli Shy?
Ancora tanta musica AOR da una band di AOR, grandi canzoni con belle melodie e parti di chitarra energiche.

Vuoi chiudere quest’intervista con un saluto ai vostri fans italiani?
Certamente. A tutti i nostri affezionati rocker italiani, che ci avete supportato durante gli ultimi vent’anni, va il nostro saluto. Fino a quando continuerete a seguirci saremo sempre capaci di realizzare nuovi albums!

GB

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