Non è mai facile parlare di una band che si conosce di persona.
Ho partecipato alla produzione del loro album di esordio, Standard
Family Size, e ne ho seguito le gesta condividendo diversi momenti
significativi. Conosco Davide “Dave” Chiari da molti anni
e spesso ci siamo scambiati idee sulla musica, so quanto la sua passione
sia genuina. Non ultimo la band compare anche su The Dark Side of
the Cult, il disco tributo ai Blue Öyster Cult che ho realizzato
per la Black Widow Records con una provocante versione di The Demon’s
Kiss. Non ho però detto queste cose per parlare di me, ma per
mettere in chiaro la relazione tra me e questa band. Nonostante questi
preamboli non mi voglio sottrarre dal valutare questo loro secondo
album.
Il gruppo è composto da quattro musicisti, tre provenienti
dal bresciano e uno mantovano, non hanno mai nascosto di ispirarsi
al rock suonato “come una volta”, con uso di strumenti
analogici, anche e soprattutto in studio, con l’intento di ricreare
un sound credibile e potente. Qualcuno potrebbe dire “vintage”
o retrò, io preferisco parlare di passione e amore per il rock
nella sua essenza più vera. Ora il punto è se ci sono
elementi per non considerare questa un’operazione “nostalgia”.
La giovane età da sola non è una garanzia di genuinità,
nemmeno il fatto che oggi il rock, almeno in Italia, non sia più
tanto seguito, possiamo guardare alle vendite dei dischi, che oggi
non ripagano gli sforzi degli artisti. Ma nessuno di questi elementi
è esaustivo, alla fine la cosa che conta è l’ascolto
della musica di questa band solo questa è la via più
attendibile per valutare questo album.
Una raccolta di dieci brani che spaziano dal garage rock degli anni
sessanta al funk rock degli anni settanta, senza assomigliare a nessuno
in particolare. Appare evidente la cultura musicale messa in campo,
non c’è un brano banale o un passo falso, solo grande
rock, rovente, turbolento, passionale frutto di un lavoro meticoloso,
sia in fase di stesura dei pezzi che nella registrazione, ogni minimo
dettaglio è curato e anche il concept che lega i testi, ispirato
ad una storia medievale ambientata nei castelli degli Appennini, risulta
intrigante. Non mi addentro in un track by track perché se
non vi ho convinti ad ascoltare questo lavoro, nella sua interezza,
ho fallito.
Per me questo è uno dei dischi dell’anno, bello dall’inizio
alla fine, eh ma io sono di parte… giudicate voi. GB
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