Gli UTO, nati come costola dei Runaway Totem, finalmente tornano sul
mercato col terzo album in quasi vent’anni di carriera. Una
produzione misurata, ma contrassegnata da una qualità abbondantemente
sopra la media. Mi piace sottolineare che l’artwork ancora una
volta è stato curato da Danilo Capua,
che riesce sempre a preparare l’ascoltatore nel modo giusto,
proponendo immagini inquietanti e profonde, come è la musica
della band. Un felice e consolidato connubio artistico.
Il disco si snoda su sei brani mediamente lunghi e stratificati, che
necessitano di diversi ascolti per essere pienamente assaporati. Chi
non li conosce deve provare ad immaginare un mix di Magma, Anglagard
e Area, riferimenti riletti in modo personale, che lanciano la band
in un percorso artistico altamente complesso. Jazz, neo classica,
prog si fondono in un dark sound profondo, che guida l’ascoltatore
ad esplorare i meandri più nascosti del proprio inconscio.
L’apertura con i brani “Terra Cava”, una vera suite,
e “Codice Y16” è prepotente, la band fa scintille
e si viene buttati in un vortice di emozioni davvero forti e crude.
L’animo sanguina davanti a tanta bravura, anche se in seguito
qualche momento appare un po’ autoreferenziale, e il cerchio
si chiude con la possente “Mare Verticale”, che mette
in luce tutta la maestria di questi artisti sopra le righe.
Questi musicisti sono dei fuoriclasse di prima levatura e questo disco
è già un classico, l’ennesimo fiore all’occhiello
per la storica Black Widow, che farà bella mostra nella discografia
degli appassionati più esigenti. GB
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