Chi non ha mai suonato nella propria stanza una chitarra immaginaria
ascoltando gli assolo al fulmicotone di gente come Jimi Hendrix o
Jimi Page, solo per fare due nomi? Ti senti l’adrenalina uscire
da dentro e poi chi è nell’età della gioventù
può anche restarne attratto in maniera fatale, l’amore
per la chitarra elettrica può scoccare ferocemente.
Questo è ciò che è accaduto anche a Hans Van
Even, chitarrista belga nato nel 1969. Negli anni studia musica classica
e Jazz, formando una tecnica davvero invidiabile. L’esperienza
si rafforza grazie alle aperture di concerti ad artisti come Joe Cocker,
Christopher Cross e John Miles, questo negli anni ’90. Successivamente
insegna chitarra ed improvvisazione. Tutto questo bagaglio si evince
all’ascolto dei diciannove brani del primo album solista dal
titolo “Stardust Requiem”, un disco che sarebbe anche
potuto uscire in versione doppio cd, in quanto la durata è
di ben 77 minuti.
Con Hans suonano Christine Lanusse al basso, Xavier Richard alla batteria
ed Oliver Sousbie alle tastiere. Ma quello che colpisce di più
è la lunga lista di special guest che contornano il progetto,
a partire dal virtuoso chitarrista Tony McAlpine, suo l’apporto
nella title track “Stardust Requiem”. L’artwork
è semplice, elegante e comunque esaustivo, dettagliato nella
descrizione dei componenti che si esibiscono nelle singole canzoni,
mentre la produzione sonora rientra nei canoni dei prodotti del genere.
Apre le danze “Angeli Ex Galaxia”, un intro dall’impronta
marcatamente Pinkfloydiana e comunque spaziale, un crescendo che porta
a “Stardust Requiem”. Qui l’impatto sonoro è
come un muro elettrico, riff granitico e scale di note come se piovessero.
Tutto questo sarebbe inutile ai fini emotivi dell’ascolto se
non fosse supportato comunque da melodie orecchiabili, questo succede
nella successiva “Tribute”. Qui Hans duetta con Brett
Garsed, noto chitarrista australiano di genere Jazz Fusion. Le dita
sembrano volare.
Un accenno di Reggae in “N-Land”, pezzo decisamente più
intimo e riflessivo, dove il calore del basso avvolge l’ascolto
per poi tornare a ritmi più alti con “Mystic Tale”
ed il violino di Bubu Boirie. Orchestrazioni per l’interludio
“Flight Of The Belgian Bumble Bee” ed il “Volo Del
Calabrone” fa capolino, tanto per mettere in evidenza le capacità
tecniche se ancora ce ne fosse stato il bisogno.
C’è spazio anche per un brano abbastanza elettronico,
con batteria programmata dal titolo “The Fifth Gate”.
Per tornare ad atmosfere più ampie e solari bisogna giungere
alla bellissima “Walking In The Air”, qui gli occhi si
chiudono e l’anima di Hans Van Even fuoriesce come una farfalla
dal bozzolo. Il lato più tecnico e sperimentale lo si ascolta
in “Tapping Into Eternity”, saggio di questo stile (il
tapping) oramai in voga fra molti chitarristi odierni. “Glassy
Sky” farà invece piacere agli estimatori di gruppi come
i canadesi Uzeb, ma il pezzo che straborda di special guest alla chitarra
si intitola “Hans’ Blues”, qui come in una enorme
jam session si susseguono ben nove artisti!
Dopo una overdose di assolo, giustamente serve spezzare. Suoni etnici
e rilassati giungono all’uopo, e qui si capisce anche l’intelligenza
musicale di Hans Van Even, capire di spezzare l’ascolto alternando
brani vigorosi con altri riflessivi serve all’elasticità
ed alla fluidità, e non è cosa da tutti. L’album
prosegue con frangenti acustici e settantasette minuti sembrano essere
volati via. Se ciò è accaduto, qualcosa sta a significare.
“Stardust Requiem” è un disco consigliato sia ai
fans delle scale impossibili che agli amanti della pelle d’oca
e Hans Van Even è una bella sorpresa, almeno per il sottoscritto.
MS
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