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DAYS PROG + 1 2016 03-04/09/16 - Veruno (NO) |
Da quando ho scoperto questo festival mi sono innamorato del paese di Veruno (NO) e soprattutto dell’atmosfera che permea l’evento. Credo che sia esemplare la capacità di queste persone di realizzare qualcosa di grande partendo da una realtà davvero piccola, a dimostrazione che per “fare” occorre la volontà e che le “dimensioni” non contano. Anche in questa ottava edizione sono stati presenti artisti di grande caratura, dieci i gruppi stranieri e due gli italiani, con un’ottima scelta, ben bilanciata tra nomi noti e altri tutti da scoprire. La prima sera, in cui hanno fatto il pienone, come head liner c’erano gli storici Uriah Heep, preceduti da Ubi Maior, Mystery e Special Providence. La seconda sera c’erano i Saga, con gli Airbag, i Nemo e i Cheeto’s Magazine. Infine, per chiudere in bellezza, i Soft Machine Legacy con gli Anekdoten, i Frequency Drift e i Syndone. Inoltre erano previsti nei pomeriggi degli appuntamenti meet & greed con altre Eveline’s Dust e El Tubo Elastico. Poi come sempre presenti gli stand di alcuni negozi di dischi, con molte rarità al seguito, più lo spazio gastronomico gestito da volontari del paese, tutto per un’esperienza a 360 gradi di immersione totale nella musica. Purtroppo non ho potuto partecipare a tutti e tre i giorni, ma almeno sono riuscito ad essere presente a due serate. Sono arrivato mentre sul palco si esibivano da alcuni minuti i francesi Nemo, una band con una solida tradizione alle spalle, ma ancora poco conosciuta. La loro esibizione è stata coinvolgente e il loro prog ha scaldato gli animi, con costruzioni articolate e personali e con un buon senso della composizione. Tecnicamente molto preparati, hanno saputo regalare momenti di puro coinvolgimento emotivo, a testimonianza di una discografia sicuramente da riscoprire. |
Gli Airbag sono una band molto capace, con una grande proprietà strumentale. Il leader è un fan sfegatato dei Pink Floyd e di Gilmour in particolare. Lo spettro del famoso fluido rosa ha aleggiato per buona parte del loro concerto. In certi momenti sembravano quasi un tributo, con partiture che richiamavano pezzi come Comfortably Numb. Bravissimi senza dubbio, ma anche un po’ troppo derivativi. Per un certo verso possiamo pensare a loro come una naturale prosecuzione della band albionica, però per il futuro un percorso un po’ più personale non guasterebbe. |
I canadesi Saga non me li volevo perdere, era dal 1984 che li stavo aspettando, da tanto non tornavano nel nostro paese. Ricordo che a quel tempo non potei andare al concerto e da allora mi rimase il rimpianto di non averli ancora visti dal vivo. Per la verità, i Saga (come gli Uriah Heep) non sono propriamente prog e questo dimostra coraggio da parte degli organizzatori del festival. Alfieri del rock canadese, fatto di grandi melodie e di canzoni coinvolgenti, hanno perseguito una strada molto personale, che ha spesso sfiorato diversi generi musicali, prog compreso, ma anche pomp, hard rock e class rock, ma che essenzialmente è stata sempre molto personale. Comunque è abbastanza probabile che abbiano influenzato i gruppi new prog. Bisogna ricordare che nella loro discografia alberga un disco che possiamo ricordare: Generation 13, se volete si tratta di un episodio isolato, ma dove il gruppo ha dato prova di saper comporre musica complessa ed articolata, che merita l’appellativo prog a pieno titolo. È stato toccante vedere tra il pubblico persone commosse, qualcuno per l’emozione ha anche pianto e erano in molti a cantare a memoria tutte le canzoni, con sorpresa della stessa band. Il repertorio è stato incentrato quasi interamente sui classici, con pochissime eccezioni. A sorpresa hanno iniziato con “Don’t Be Late”, di solito messa in chiusura, ed hanno suonato per quasi due ore senza mai fermarsi, How Long, The Flyer, You’re Not Alone, Humble Stance, On the Loose, solo per ricordare qualche titolo. La formazione è per 4/5 originale, solo il batterista è cambiato, ma non ha fatto certo rimpiangere i predecessori e nell’assolo ha dimostrato di essere molto bravo. Gilmour come al solito ha cantato “Scratching the Surface”, ed è risultato più in forma che in molti live che ho ascoltato. Sadler dal canto suo ha incatenato il pubblico con consumata bravura, magari ci ha messo un po’ di mestiere, ma ha una voce stupenda e caratteristica, accompagnata da una simpatia guascona, che non guasta. Poi c’è Ian Crichton, uno dei chitarristi più raffinati in circolazione, i suoi assoli sono sempre stati molto personali e ricchi di fantasia. Se c’è un appunto che posso fare è che la band ama poco improvvisare e questo un po’ mi spiace, però hanno suonato alla grande. |
La terza serata si è aperta con piemontesi Syndone. Anche loro sono una band solida, molto tecnica e con un cantante capace. Bravi. Tuttavia ho riscontrato un paio di punti deboli, da un lato partiture eccessivamente complesse e questo non sempre aiuta, quasi che la band volesse dimostrare le proprie qualità. Sono convinto che spesso un po’ di semplicità in più rende più piacevole l’ascolto. Dall’altro lato i testi, che pure mi sono sembrati troppo complessi. Certo sono convinto che le band straniere non siano meglio nella stesura delle liriche, ma alla fine (per molti di noi) diventa qualcosa che si integra con la musica. Con l’italiano invece è più difficile e si fa più attenzione alle parole e al significato. Molto riuscito il momento in cui la band ha dispiegato un lunghissimo filo rosso tra il pubblico. Comunque un gruppo da seguire con attenzione. |
I tedeschi Frequency Drift hanno proposto un buon prog con l’handicap di aver perso temporaneamente il cantante. Quindi hanno presentato il loro repertorio in chiave strumentale e questo un po’ ha penalizzato l’esibizione. Però il bassista, che ha una buona conoscenza dell’italiano, ha spiegato i brani con simpatia e ha ricordato in particolare le vittime degli ultimi terremoti, riscuotendo calorosi applausi. Alla fine sono scesi a testa alta da questo palco così impegnativo. |
Non vedevo dal vivo gli Anekdoten dal tour di From Within, credo fosse il 2002 al festival Freequenze a Mantova, ma da allora non sono venuti spesso nel nostro paese. Formazione a cinque, con l’aggiunta di un chitarrista, che mi sembra si sia inserito molto bene nel sound del gruppo. La straordinaria band svedese ha proposto un repertorio che ha spaziato per tutta la discografia. Una band magica, con una musica ipnotica, vorticosa, altamente coinvolgente. Le spirali che hanno tessuto hanno incantato il pubblico. Mi ha fatto molto piacere che abbiano riproposto tutte le fasi del loro percorso artistico, sia dagli esordi più ruvidi e carichi di tensione, fino ad arrivare alle lunghe cavalcate oniriche degli ultimi lavori. Verso la fine dell’esibizione sono stati raggiunti sul palco da Theo Travis, che ha suonato sia il flauto che il sax, aggiungendo un ulteriore tocco di magia ad un sound già molto ricco. Grandi, anzi grandissimi, un privilegio poterli vedere suonare dal vivo. |
I Soft Machine Legacy, come suggerisce il nome sono quello che resta della storica formazione inglese, oggi forse più legati al jazz sperimentale, che non al prog. Musicisti pazzeschi, hanno suonato in modo impeccabile. John Etheridge alla chitarra è di una bravura mozzafiato, oltre ad essere anche molto simpatico, spesso ha preso la parola per raccontare aneddoti sul passato del gruppo. Roy Babbington è un bassista compassato, ma anche lui ha eseguito dei passaggi veramente notevoli. Poi ancora Travis che ha continuato ad elargire momenti di estasi sonora. Il batterista era un sostituto del titolare, di certo non era li a caso, infatti ha dimostrato di essere all’altezza dei compagni di palco. Che dire se non che hanno regalato emozioni forti, chiudendo un festival importante nel migliore dei modi, con tanta classe e bravura, non si può volere di più. |
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