I teutonici Volt sono al primo album ufficiale, in precedenza avevano
pubblicato solo un Ep, e propongono un sound molto “rumoroso”.
La proposta di questi tre musicisti è selvaggia e acida, si
rifà a quanto partorito da gruppi come Melvins, Jesus Lizard
e Butthole Surfers con una certa dose di sperimentazione. Musica scomoda
e disturbante, politicamente scorretta.
Non manca anche una discreta padronanza tecnica, perché il
rumore non è caotico, ma se possibile organizzato. I riffs
di chitarra e basso e batteria sono altamente ipnotici, potenti e
lasciano senza respiro l’ascoltatore, gli stop and go si susseguono
con determinata spietatezza. Le atmosfere sono oscure e malsane, c’è
molta tensione e bruciante cattiveria, il cantato, se così
si può definirlo, è urlato e rabbioso. In un certo senso
è musica selvaggiamente tribale. L’opener “Kreutz”
è molto convincente, buona anche la successiva “Griffel”,
ma “Frommbug” assomiglia troppo al brano precedente, sia
nelle ritmiche che in certe soluzioni armoniche. Si cambia un po’
con la psichedelica “Zwiggilusion”, che nella seconda
parte deflagra in modo incontenibile. “Stativ” è
un’altra prova di forza, anche per chi ascolta, bisogna essere
belli carichi per sostenere un attacco frontale come quello di questi
musicisti. Il discorso non cambia per i brani successivi, fino alla
conclusiva “Volt” che racchiude in se tutti gli elementi
di questa band.
Rorhat è un disco duro e sporco, di quelli che lasciano il
segno, forse è l’hard rock del nuovo millenio, la nuova
frontiera dei suoni pesanti, ma in certi momenti ho rimpianto il sound
corposo dei vecchi classici, che anche quando erano violenti non rinnegavano
mai un po’ di melodia, qui di melodia non c’è neanche
l’ombra e a me sinceramente manca abbastanza. GB
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