Solo
ai meno addentro alle cose del melodic-rock potrà apparir alquanto
singolare che proprio quest’anno Journey e John Waite calchino
per la prima volta le assi dei prosceni italici (coi Foreigner di
ritorno, ma anch’essi ancora freschi d’esperienze tricolori).
Eppure la soluzione del dilemma è davvero semplicissima: un
rinnovato interesse manifestato apertamente nei confronti delle sonorità
più raffinate, l’attenzione sempre più diffusa
delle testate musicali e, sopra tutto, una casa discografica, la partenopea
Frontiers che, da semplice sogno del suo ideatore Serafino Perugino,
in una quindicina d’anni s’è consolidata fino a
tramutarsi in splendida e concretissima realtà.
L’ottimo lavoro svolto dal team napoletano ha permesso di riscoprire
talenti offuscati dal tempo e nuove proposte che, si spera, un prossimo
domani potranno competere alla pari colla classe dei marpioni. Ma
eccoci al live triestino, in un Teatro Miela (già testimone
del passaggio di realtà di primo piano e di diversa estrazione)
presidiato da una folla di attenti appassionati di A.O.R. e dintorni,
molti memori dei fasti dei Babys addirittura. E mi riferisco a testimoni
che hanno vissuto l’esplosione della scena di persona, seppur
a distanza (a fine settanta/inizi ottanta solo ipotizzare uno show
di questi artisti in Italia era da tacciare come follia!). Mr. Waite
dimostra una buona forma, la voce è sempre quella, particolarissima
ed intonata, grintosa quanto e quando serve ma mai sopra le righe.
Il suo ultimo “Rough & tumble” si è rivelato
una buona raccolta di tracks di livello medio/alto, complice senza
altro l’apporto del talentuoso Kyle Cook che, da immaginifico
songwriter ed esecutore coi suoi best-sellers Matchbox 20, ha saputo
calarsi con decisione nei panni della spalla dell’illustre collega,
riverniciando col suo stile fresco queste canzoni sicuramente molto
valide ed, alla prova dei fatti, vincenti. Preceduto dall’asciutto
warm-up del triestino Abbazabba in versione acustica, il quale con
il disco “The alphabet” ha dimostrato buona inclinazione
alla scrittura, e dinanzi al suo pubblico ha dimostrato di vestire
con disinvoltura i panni del consumato performer (un bel rock a tratti
memore della west-coast, sicuramente debitore di certa tradizione
statunitense ma capace pure di sdoganarsi da troppo impegnative comparazioni).
Waite ha saputo meritarsi l’approvazione dei convenuti proponendo
estratti dal suo più recente lavoro (ottime la title-track,
“”Sweet Rhode Island red”, “Better off gone”),
pescando ovviamente dal suo passato coi Babys (“Everytime I
think of you” non me la ricordavo così… la memoria
trae in inganno, poi “Head first”!), e pure coi Bad English,
con una “Best of what I got” più lineare di quella
proposta dal super-gruppo (ovvio, mancavano le tastierone di Jonathan
Cain…). Non poteva mancare (preceduta dal drum-solo dell’essenziale
skin-beater Rhondo, un anacronismo tipico delle adunanze rock al quale
però risulta difficile rinunziare…) la plurititolata
“Missing you”, ovvio, è uno di quei pezzi al quale
il Nostro non può davvero rinunziare (ma ve lo immaginate un
concerto dei Sabbath senza “Paranoid”? Eresia!) e, visto
che ho citato il batterista, lo faccio volentieri anche per il pass-player
Tim Hogan, man in black che il suo contributo non lo fa mancare. Snocciolo
anche “Downtown journey of a heart”, “Mr. Wonderful”
“Love’s going’ out of style”, e sono convinto
che nessuno degli astanti abbia abbandonato il Miela deluso.
Bravi gli organizzatori di Trieste
is Rock per aver sostenuto una scelta che poteva apparir azzardata,
il loro spirito d’iniziativa è stato premiato, e sono
certo che il futuro ci potrà riservare ulteriori ottime occasioni
per partecipare attivamente a simili eventi! AM
Recensioni: Downtown Journey of a Heart
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