Provate
a mescolare la lezione dei Rage Against The Machine con l’EMO
e il punk americano, ne esce un concentrato di energia difficile da
trasmettere a parole, ma i californiani Zebrahead sono tutto questo
e il loro nuovo disco è qui a dimostrarcelo. Il gruppo esce
da un silenzio di due anni, ma lo ritroviamo nelle mani del produttore
Cameron Webb (Motorhead, Social Distortion, Silverstein), l’energia
del quintetto ne esce intatta se non amplificata.
Phoenix è un concentrato di energia allo stato puro, sedici
brani caustici e abrasivi, ma soprattutto contagiosi, coi loro ritornelli
martellanti a base di rap, che entrano subito in testa. Il brano più
ostico e duro è messo proprio all’inizio, la ritmica
è confusa e rabbiosa, non è certo un brano radiofonico
messo all’inizio per attirare i curiosi, in un certo senso una
scelta coraggiosa. Ma ecco che già con “Hell Yeah!”
le cose cambiano radicalmente e il gruppo dedica più attenzione
alle melodie e tutto è molto più leggibile e fruibile,
davvero belli i cori. Questa caratteristica permane per tutto il resto
del cd, che mostra una convincente unità compositiva. Questo
è anche il difetto del disco che è anche piuttosto ripetitivo,
senza cedimenti, solo che gira e volta si tratta sempre della stessa
minestra. Giro di chitarra introduttivo e poi via coi cori a più
voci, la sezione ritmica è un martello pneumatico che percuote
i nostri sensi con enfasi.
Non sono mai stato un appassionato di rap, ma in questo contesto molto
rock trovo che funziona alla grande, perché si sente della
musica vera fatta da musicisti che ci mettono l’anima. Brani
come “The Juggernauts” e “Death by Disco”
sono irresistibili e poco importa se i puristi del rock potrbbero
storcere il naso, il futuro è nella contaminazione e quando
è buona come in questo caso credo che valga la pena di dargli
un ascolto, se poi certi coretti non li digerite proprio, beh non
dite che non vi avevo avvisato. GB
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