Dei
Jethro Tull si sa quasi tutto, sono una delle band più amate
del prog rock, anche se molti puristi non hanno mai amato del tutto
la band di Anderson, che nella sua carriera ha sperimentato col folk,
col blues, con la neoclassica, con l’hard rock e con l’elettronica,
l’unica cosa certa è che la band ha conquistato negli
anni il cuore di tantissimi fans, infatti i loro concerti sono tutt’oggi
degli eventi molto seguiti. Nel mentre Ian è andato avanti
per la sua strada con granitica coerenza e determinazione, senza mai
preoccuparsi di piacere se non a se stesso e questo percorso lo ha
portato fino ad oggi con ancora tanta voglia di suonare la sua musica,
un mix di vari generi che ancora continua a generare ammirazione.
La storia di Gerald Bostock, iniziata col famoso Thick As A Brick
e continuata col secondo episodio uscito quarant’anni dopo come
disco solista, viene ripresa nuovamente per il presente lavoro, ideale
continuazione della fortunata saga. Il pretesto è il ritrovamento
di un oscuro manoscritto in cui sono contenute profezie future sulla
storia inglese, che il nostro eroe ripercorre in un viaggio avventuroso.
La vicenda si snoda lungo quindici brani, il primo è “Doggerland”,
il flauto è subito in primo piano, ci sono elementi metal,
altri di musica medioevale, la melodia portante è avvincente
e si sente che Anderson è molto ispirato, ottima la resa dei
musicisti coinvolti, con grandi assoli. “Heavy Metals”
è un breve brano che piacerà tanto ai vecchi fans del
leone inglese, un folk medioevale ricco di gusto. Non ci sono cali
di ispirazione e tutte le tracce hanno qualcosa da dire anche se brani
come “Puer Ferox Adventus” sono gemme senza tempo, fra
cavalcate hard rock e impennate del flauto di Ian, sempre magico,
ma potremmo dire lo stesso per molti brani di questo disco, che è
già un classico. La musica che fa da guida alla storia è
un mix adrenalinico di folk, prog e metal senza che nessun elemento
prevalga sugli altri, il marchio di fabbrica dei Jethro Tull è
molto marcato, ma non si tratta della solita minestra riscaldata,
Ian ha dato vita ad un disco grintoso e molto ben costruito, che non
teme il confronto col passato, se non che ne è l’ideale
continuazione.
Anderson sembra avere ancora tante cose da dire e lo fa con questo
album ricco, fresco ed energico, che non è certo il rimpianto
nostalgico di quanto fatto in passato, ma piuttosto è la cosciente
conoscenza dei propri mezzi espressivi, che vengono usati al massimo
delle proprie capacità, a qualcuno questo potrebbe non sembrare
abbastanza, ma credo che il nostro non debba più dimostrare
niente a nessuno, ma fare quello che gli riesce meglio. GB
Live report: 2014
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