Questo nuovo disco degli Aristocrats offre molti spunti di riflessione.
Intanto come sapete la band è formata da musicisti di grande
talento, che in parte si sono conosciuti per aver lavorato con Steven
Wilson, un po’ come è successo ai musicisti che hanno
lavorato con Robert Fripp, in un certo senso ci sono artisti che sono
come dei “catalizzatori” di talenti. Questo apparentemente
è un aspetto secondario, sapere perché si formano queste
alchimie in fondo all’ascoltatore finale può interessare
poco, invece è davvero importante, perché la musica
genera altra musica, è formidabile questa capacità di
suscitare il desiderio di creare arte insieme. Sapere che ci sono
persone che in modo più o meno consapevole danno origine a
queste alchimie artistiche è emozionante e tutti dobbiamo essergli
un po’ grati.
Poi c’è la collaborazione con questa orchestra da camera,
un’operazione che a qualcuno può sembrare solo una “stravaganza”,
ma la diffusione della cultura passa da operazioni come questa, avvicinare
il mondo della musica rock a quello della classica non è un’operazione
fine a se stessa, coinvolgere molti musicisti diversi ad interagire
è come costruire solide fondamenta culturali a cui tutti dobbiamo
essere grati.
Il disco è ricco, come lo sono tutti quelli partoriti da questi
estremisti della tecnica, ma attenzione che gli Aristocrats non hanno
mai dimostrato di essere schiavi del bisogno di stupire con la loro
bravura, ogni nota presente in questo album è funzionale alla
godibilità del pezzo, ogni intervento dell’orchestra
si incastra tra le partiture dei tre virtuosi arricchendo ulteriormente
le composizioni. È un incanto continuo ascoltare cosa riescono
a fare. Poi è musica interamente strumentale e questo per qualcuno
è un limite, ma per chi ama la musica su tutto si tratta di
un disco che non può lasciare delusi. GB
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interviste: 2019
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