Per chi non lo conoscesse Richard Barbieri è una figura da
culto della scena musicale inglese da oltre trent’anni. Verso
la fine degli anni ’70 ha fatto parte dei Japan, una delle formazioni
più originali del movimento New Wave, poi in seguito è
entrato nei Porcupine Tree e con questa formazione ha riscosso un
notevole successo, il resto è storia. Stranger Inside è
il suo secondo album solista, un territorio dove il nostro ha cercato
di esprimersi con maggiore libertà, svincolandosi dai canoni
usuali, ecco allora materializzarsi suoni e ritmi sperimentali di
buon spessore.
Stranger Inside è un album strumentale, le voci che si sentono,
di Tim Bowness (No Man) e Suzanne Barbieri, sono campionate. Inoltre
hanno contrubuito alla sua realizzazione vecchi amici come Steve Jansen
(Japan), Steve Wilson (Porcupine Tree) e Gavin Harrison (PT). Una
specie di lavoro di famiglia.
Le traccie che ascoltiamo sono di difficile catalogazione e anche
di problematica assimilazione, entrano lentamente nella testa di chi
ascolta, ma una volta insidiate portano ad un ascolto ipnotico. Suoni
per lo più elettronici che graffiano e disturbano, in questo
senso l’apice viene toccato con la lunga e ritmata “Hypnotek”,
uno dei brani più oscuri, ossessivi e impressionanti del disco,
una sorta di musica da discoteca del futuro, con ambientazioni noire
molto oscure, vagamente alla Blade Runner. Per il resto le atmosfere
sono più pacate e confortevoli, ma anche meno intriganti e
coinvolgenti, qualche volta persino sonnacchiose. Momenti decisamente
buoni vengono nascosti fra partiture noiosette e il disco si svela
come un fiore che lascia cadere i petali lentamente uno ad uno, solo
che il cuore alla fine non è così prezioso come si sarebbe
voluto.
Stranger Inside non è un brutto disco, anzi, soprattutto perché
non si ferma mai a soluzioni banali o frettolose, ma è sempre
molto introspettivo, solo che non è sempre abbastanza coinvolgente.
GB
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