Altra ristampa di lusso in paper sleeve ad opera della storica Minotauro
di Marco Melzi, che questa volta riporta alla luce un disco uscito
originariamente nel 1989 per la Electric Eye. Ricordo molto bene quando
nell’underground italiano fece capolino l’Ep di debutto
dei pesaresi Boohoos, all’epoca avevano tra le fila anche Paul
Chain in veste di tastierista e il genere proposto era un garage metal
psichedelico fra Stooges e il Lou Reed più duro, una vera sensazione
per il nostro tormentato panorama rock italiano. Il disco venne accolto
in modo entusiastico dalla critica dell’epoca e ne seguì
a breve l’ellepì Moonshiner, più decadente, ma
sempre molto interessante. Qualche inevitabile cambio di formazione
ed ecco questo nuovo titolo, che in realtà ha segnato una svolta
molto decisa nel sound della band. Poi a sorpresa lo split e una delle
band più promettenti del nostro panorama esce di scena.
Il disco si apre con un intro dal sapore cinematografico, poi entra
una chitarra secca che segna l’avvio di “Heartbeat City”
con un riff micidiale tra Aerosmith e Hanoi Rocks, la sezione ritmica
pompa precisa e soprattutto sorprende la buona produzione, che in
quel periodo non era affatto scontata come oggi. Lo stile è
un perfetto sleazy rock con l’abbandono deciso per ogni tentazione
psych, al limite è rimasto qualcosa del garage, ma in chiave
punk, infatti un’altra formazione che mi viene in mente sono
i Lords of the New Church del terzo album The Method to Our Madness.
“Bad Loser” mostra che il gruppo ha un songwriting fresco
ed energico, che non scopiazza ma cerca una propria strada. Molto
americana invece è “King’s Promenade”, che
sa di California, bello il gioco ritmico. Bella la ballata in chiave
blues acustico “Soldier of Fortune”, vagamente zeppeliniana.
“Bangkok” è un rock ‘n’ roll molto
sporco, il riferimento al gruppo di Monroe non è certo un caso,
la band comunque mantiene una forte credibilità. Con “Take
it For Love” si torna al gruppo di Tyler, un hard rock stradaiolo
che ha il pregio di essere davvero molto ben confezionato. “For
Absent Friends” è un blues disperato e sensuale piuttosto
convenzionale, buona la parte di chitarra. L’ultimo pezzo del
gruppo è l’efficace “Catwoman”, un hard rock
diretto, con un ritornello che si stampa subito in testa, si ci sapevano
davvero fare. Chiude la bella cover di “Sufraggette City”
di Bowie, a ribadire una vicinanza artistica che è molto sentita.
Un peccato che una formazione così sia sparita, di sicuro sarebbero
stati capaci di movimentare per bene il nostro stanco panorama, purtroppo
non è andata come avrebbe dovuto, ci resta quindi solo la possibilità
di riscoprire questo disco di grande rock, alla facciaccia di chi
non crede alla via italiana al rock, una volta di più questo
disco è la conferma di come non siamo secondi a nessuno, se
solo ci viene data la possibilità di dimostrarlo… ma
questa è un’altra storia. GB
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