Chi è Joe Bouchard? Spero che la maggior parte di voi lo sappia…
comunque era il bassista della prima formazione dei Blue Oyster Cult
per i quali ha composto alcuni dei brani più belli come “Astronomy”.
Fuoriuscito dal gruppo verso la seconda metà degli anni ’80,
da allora ha avuto varie esperienze musicali, in particolare con gli
X-Brothers, con i BDS (Bouchard, Dunaway, Smith, due fondatori della
Alice Cooper band), come produttore e come docente di musica, si trovano
suoi metodi per chitarra, basso e tastiere. Oggi suona con i Blue
Coupe insieme al fratello Al (anche lui ex BOC) e con Dunaway. Questa
in pillole la sua presentazione. La cosa che può suonare strana
è che abbia aspettato quasi quarant’anni per pubblicare
il suo primo album solista, vezzo d’artista?
Inizialmente, nelle intenzioni di Joe, questo disco doveva essere
acustico, invece per varie ragioni il nostro ha cambiato idea ed è
uscito un disco elettrico e manco a dirlo molto BOC sound oriented.
Devo dire subito che la copertina del disco mi ha fatto venire in
mente i Flinstones, o quanto meno un signore imborghesito, lo dico
con un pizzico di simpatia, ma come ho iniziato a far scorrere le
tracce del cd ogni tentazione semi ironica è sparita in fretta,
perché ho trovato un disco ricco di energia e veramente riuscito.
La prima traccia “Shadows on the Streets of New York”
si presenta subito grintosa, ricorda i BOC del periodo di Spectres,
molto chitarristica e con un giro piacevole. Ma è “Travelin’
Freak Show” che mi fa sussultare davvero, dominata da un riffing
cattivo e gli spettri del culto si fanno sempre più presenti
nella mia stanza, suona BOC primo periodo, ma è qualcosa di
nuovo al tempo stesso. “Cowboy’s Dream” è
un brano ironico, per continuare il parallelismo siamo in periodo
Mirrors, molto cantautorale e profondamente americana. “Jukebox
in My Head” è un rock ‘n’ roll in bilico
fra nostalgia e modernismo, davvero carina. “One More Song So
Long” prosegue su questo cammino che sembra radicato nella memoria,
dove Bouchard mette tutta la sua esperienza e i suoi trascorsi musicali,
fra suggestioni e influenze, in questo caso il sound è quasi
californiano. L’hard più essenziale torna a scorrere
con impeto in “Which Road is Mine”, una domanda amletica?
Ma il nostro risponde con un riffing che ogni orfano dei BOC amerà
profondamente. “Kickin’ a Can” è una canzone
più meditativa, retaggio di quel progetto acustico di cui abbiamo
parlato sopra, dominata da un intreccio sognante di slide guitar.
“Haunted Dance Floor” è una ballad strumentale
piuttosto malinconica e ispirata. Molto toccante la lunga “Dark
Boat”, che parte strumentale, come il brano precedente, ma che
poi Joe interpreta con grande sensibilità vocale. Gli ultimi
tre brani figurano come bonus tracks, “Running Out of Time”
ricorda un po’ la spensierata gaiezza di “Cowboy’s
Dream”. “Camp Sunset” è una seconda ballad
strumentale acustica, ancora una volta molto malinconica e romantica.
Chiude “Coming For You Someday”, con un ritmo funkeggiante
e con un’armonica davvero azzeccata.
In definitiva Joe ha realizzato un gran bel disco, molto americano
e molto BOC, un disco che farà contenti tutti gli amanti del
culto, ma che comunque è un disco riuscito, adesso spero che
la priorità venga data al progetto Blue Coupe, che sta andando
veramente bene, ma non mi dispiacerebbe nemmeno ascoltare un seguito
di questo simpatico Jukebox. GB
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