La genesi dei Braindance parte a New York nel 1992 a seguito dell’incontro
tra la chitarrista Vora Vor e il cantante Sebastian Elliott, con l’intento
di dar vita ad un nuovo genere musicale, che mescolasse dark wave,
prog metal, elementi di elettronica, industrial, trance e house, il
tutto con un appeal vagamente mainstream. Sebastian poi è un
culturista e nella grafica del cd si propone in vesti cyber punk,
mentre Vora è più dark lady in abito di pelle nera.
In altre parole un mix molto ardito, di generi decisamente lontani
tra loro, tanto che più di un purista potrebbe restare spiazzato
dalla questa proposta. Il gruppo ha avuto un’attività
piuttosto intensa per un decennio, poi ha iniziato a lavorare al presente
album, che ha visto la luce dopo una gestazione di circa nove anni.
Se non vado errato questo è il quarto album della band, ma
si parla di una trilogia e non mi è chiaro se questo sia il
capitolo iniziale o quello conclusivo. Propendo per la prima ipotesi.
Ciò che colpisce di questo prodotto è innanzitutto la
cura maniacale espressa nella veste grafica: digipack apribile con
art work in rilievo. La versione che mi è arrivata era corredata
da una chiavetta USB con il video di punta e alcuni adesivi. All’interno
del digipack troviamo due booklet, il primo contiene un fumetto di
sedici pagine illustrato da Joe Simko, dallo stile moderno, ma che
illustra una storia ambientata nell’antico Egitto, il secondo
i testi dei brani e le note tecniche, entrambi realizzati molto bene.
Per colpa della crisi in atto era tempo che non vedevo un prodotto
così curato a livello grafico.
Il disco si basa su un concept ed è abbastanza complesso, troviamo
ben quindici tracce. La prima è un intro dall’aura misteriosa,
ci prepara ad addentrarci in un mondo sospeso tra passato e presente,
con toni volutamente epici e cinematografici. “Lost” è
il brano con cui prendiamo coscienza delle caratteristiche della band,
gli elementi sono davvero tanti, come anticipato in introduzione,
c’è del prog metal nelle chitarre, ci sono melodie tipiche
del goth e inserti elettronici, tutto è miscelato con cura
e ne esce un sound compatto. Sebastian non è un cantante particolarmente
dotato, ma ha una voce profonda e un po’ nasale, che può
piacere. Vora alla chitarra sembra sapere il fatto suo e i suoi solos
sono molto tecnici. “Eye of the Storm” ha un ritmo ai
limiti del ballabile, le chitarre sono sempre metal e il doppio cantato
riporta chiaramente al goth metal, questo è il lato più
commerciale del gruppo, ottimo per discoteche alternative. “The
Game” è in bilico tra power metal ed epic in chiave goth,
bella la linea melodica. Ma più interessante è la cinematografica
“Hunter and Hunted”, anche se è un pezzo per lo
più strumentale, con poche variazioni. “Dysphoria”
è un mix di voci narranti e apre alla title track. “Master
of Disguise” contiene tutti gli elementi propri di questa band
e rappresenta bene potenzialità e limiti del gruppo. Con la
seguente “More Than a Moment” mi vengono in mente anche
gli Ayreon. Siamo poco oltre la metà del disco, ma quanto segue
non presenta grosse novità, sono per lo più variazioni
del tema, nel senso che ogni brano ha una sua identità, in
un contesto comune, che è quello descritto sopra. Talvolta
più sperimentali, talvolta più prevedibili, i Braindance
ci conducono con mano sicura verso la fine del cd.
Master of Disguise è un disco avventuroso, pieno di idee e
di contaminazioni. Non piacerà a tutti per il suo carattere
fortemente poliedrico e al tempo stesso decisamente mainstream, ma
è chiaro che ha dei grossi appeal che potrebbero farne la fortuna.
Di fatto è un disco che mi è piaciuto pur non essendo
un disco epocale, ma apprezzo chi ha voglia di fare musica senza barriere,
se poi questo mira anche all’aspetto commerciale, perché
dovrei criticarlo, in fondo emergere è un’esigenza e
oggi è sempre più difficile. I Braindance cercano di
emergere sperimentando e distinguendosi e lo fanno bene. GB
Sito
Web
|