Il singolo apripista di questo album mi aveva provocato una cocente
delusione, "Anna Julia" era un brano estremamente scontato,
uno dei più commerciali e più brutti dell'intero disco
e la b-side non era da meno.
Il nuovo disco di Capaldi è un compendio di pop che ricorda
molto le cose migliori di Ian Hunter e dei Kinks (due miei grandi
amori), ma con l'originalità sotto zero. E' la solità
minestra scaldata e riscaldata a tal punto che non se ne sente neanche
più il sapore. E pensare che Capaldi, prima di intraprendere
una lunga e dignitosa carriera solista, ha fatto parte dei Traffic,
una gloriosa formazione dei primi seventies.
Questo è un bel disco, suonato e interpretato con grande classe,
ma da artisti di questo calibro è doveroso aspettarsi qualcosa
di più a meno che il nostro non si sia voluto rivolgere ad
un gruppettino ristretto di amici nostalgici e un po' rincoglioniti.
Gli ospiti presenti sono dei veri fuoriclasse: Gary Moore, George
Harrison, Paul Weller e Ian Paice, ma la loro personalità sembra
servire più a richiamare curiosi e collezionisti, perché
non riescono a salvare un disco fatto senza impegno e senza voglia
di fare vera musica, quella che parla al cuore delle persone e non
quella che ascolti in macchina quando non hai voglia di pensare, quando
sei così stanco che ti va bene qualsiasi cosa, anche il silenzio.
Molti artisti "attempati" in questi anni stanno producendo
dischi meravigliosi, non così è in questo caso, un album
che resta solo molto ben suonato e nulla più. GB
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