Amo gettarmi dentro alcune sfide sonore che hanno tracciato un epoca,
ma che allo stesso tempo segnano la fine di una band. Gruppi che hanno
modificato le coordinate di un genere, in questo caso il Black Metal,
con grandi idee non al momento apprezzate dai fans, addirittura tacciando
la band di “tradimento” ma che negli anni si scopre vero
e proprio punto di riferimento per generi a venire.
La vita dei svizzeri Celtic Frost non è di certo semplice e
lineare.
Il trio nasce a Zurigo nel 1984 ed esordisce con un vero e proprio
must, quel “Morbid Tales” ancora oggi molto ricercato
anche fra i collezionisti di vinile. Tom Gabriel Fischer (voce, chitarra,
logo, artwork, produttore) ne è il leader indiscusso, con il
suo cantilenare graffiante e monotono soltanto spezzato di tanto in
tanto da quel “Uh!” gutturale che diviene nel tempo loro
marchio di fabbrica.
Il trio si completa con Martin Eric Ain (basso, effetti, produttore)
e Stephen Priestly (batteria, percussioni). Il look è quello
delle band Metal nordiche, con tanto di face paint, borchie, pelle
e catene, non si lascia adito a dubbi su quello che il gruppo può
proporre musicalmente. Nel tempo cambia anche il look, verso una sterzata
Glam, questo accade con il disco “Cold Lake” nel 1988,
ma già i fans stanno loro girando le spalle da tempo. Ma vediamo
il perché.
Ho accennato a “Morbid Tales”, devastante e corrosivo
album di Black Metal classico, quello che il 90% delle persone considera
“rumore”. Nasce dunque il mito underground, fra i metallari
girano le cassette, allora prototipo di nostrano ed odierno “You
Tube”. Il passaparola si faceva così, fra amici e a mano.
Ebbene in breve tempo i Celtic Frost hanno un buon seguito, “To
Mega Therion” (1985) è la conferma ufficiale, un album
irriverente, con in copertina un Cristo adoperato dal diavolo come
fionda, un album nel suo genere perfetto, nero come la pece. Fra i
due lavori c’è un buon ep dal titolo “Emperor's
Return” (1985). Ma Tom Gabriel “Warrior” non è
una persona che si accontenta di quello che da, vuole fare di più,
sfida, cerca, vuole stupire e creare nuovi innesti nella musica. Ecco
nascere “Into The Pandemonium”, un album che va ascoltato
e capito nel contesto anno 1987, perché ascoltato oggi può
non indurre a stupore. Invece lo stupore c’è, chi nel
1987 ha miscelato Disco, Death, Black, Doom Metal estremo, drum machine,
sinfonia e lirica assieme? Sono generi completamente distanti l’uno
dall’altro ed ecco dunque lo stupore dell’ascoltatore
dinanzi ad un risultato quantomeno per i tempi fuorviante. Invece
a seguire, moltissimi altri gruppi hanno saccheggiato questo album
e fatto di esso una propria carriera. Meravigliosa la copertina gatefuld,
un dettaglio tratto dal Trittico del Giardino delle delizie di Hyeronimus
Bosch.
L’album si apre con una cover dei Wall of Voodoo, “Mexican
Radio” per poi passare alla malinconica e lamentosa “Mesmerized”,
primi (anche se moderati) segni di sperimentazione che di li a poco
arriveranno, ma prima la devastante canzone Celtic Frost dal titolo
“Inner Sanctum”, un classico. Ed ecco il primo pugno allo
stomaco all’ascoltatore, “Tristesses De La Lune”,
canzone archi e voce in francese, quella femminile di Manü Moan.
Ci pensa “Babylon Fell” a far tirare un sospiro di sollievo
al fans Celtic, ma è solo una mera illusione. Si passa ad un
Doom lamentoso intervallato da Death classico con “Caress Into
Oblivion (Jade Serpent II)” ed a “One In Their Pride (Porthole
Mix)”, quest’ultima pezzo dance fatto con la drum machine!
Rumori si susseguono con voci codificate e violini dissonanti! Niente
più chitarre distorte. Genialità od incoscienza?
I Celtic Frost si fanno perdonare con un classico che sarà
anche il singolo di questo album “I Won't Dance (The Elders
Orient)” e comunque sempre distante dal modus operandi di “Morbid
Tales”. Giunge a questo punto il Metal Doom lirico con accompagnamento
di voce femminile di “Rex Irae (Requiem)”, territorio
dove band come Therion hanno costruito una carriera. Il clamoroso
disco si conclude con corni, orchestra e Doom grazie a “Oriental
Masquerade”, ed è veramente il pandemonio!
Questo album personalmente mi ha fatto capire negli anni ’80
che il Metal può essere comunque una strada parallela al Progressive
Rock, perché in esso transitano degli artisti che sfidano le
regole, forse più dei Progghettari stessi! Personalmente la
musica mi deve dare emozione, stupire e far pensare, non mi accontento
solo di canzoni da canticchiare, vanno bene anche quelle, ma non ho
piacere come l’ ho all’ascolto di dischi epocali come
“Into The Pandemonium”, anche se non capiti o di facile
assimilazione. MS
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