Massimo
D’Arrigo è un entusiasta della chitarra, ascoltarlo su
questo suo primo disco solista fa subito una certa impressione per
la ricchezza del suo gusto, che mi ha ricordato il tocco di artisti
del calibro di Michael Thompson, ma poi guardando alla sua ultraventennale
carriera si comprende come sia arrivato a questi risultati, non è
certo uno che si è improvvisato, anzi. Ma Massimo è
anche un arrangiatore e si sente che anche in questo campo ha molto
gusto.
Come avrete capito questo Mystree è un disco prevalentemente
di chitarra, che, a discapito del nome e dell’artwork piuttosto
oscuro, ho trovato molto solare e ricco di vita. Le note escono con
esuberanza dalla chitarra di questo artista, ma non ci troviamo di
fronte ad un megalomane che ci vuole strabiliare con una tecnica disumana,
piuttosto ci vuole mostrare come con la tecnica si possano fare delle
cose molto piacevoli e gustose. Questo è il vero intento di
D’Arrigo che di sicuro non sente il bisogno di dover dimostrare
il suo valore e si sente che è molto rilassato, l’album
è tutto impostato sul piacere dell’ascoltatore. Ovviamente
un album strumentale di chitarra si rivolge ad un certo tipo di pubblico
e difficilmente può aspirare a grandi platee, ma questo è
un calcolo che D’Arrigo ha sicuramente fatto.
Comunque sia non bisogna dimenticare inoltre che è un disco
autoprodotto e nonostante questo presenta un suono molto più
che dignitoso. Ad accompagnare Massimo ci sono musicisti veri come
Andrea Terzulli al basso, Puccio Panettieri alla batteria (anche se
in due brani suonano altri due batteristi, Alessio Renzopaoli e Francesco
Rubeis), Roberto Mario Pivotto alle tastiere e Vincenzo Meleccaro
al sax in un brano.
I titoli hanno un’importanza relativa, a me il disco è
piaciuto nel suo insieme, dopo è vero che ci sono momenti migliori
e altri meno coinvolgenti al primo ascolto, ma nel complesso è
un disco che mostra tutto il carattere di questo artista e la prima
impressione è davvero buona. GB
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