Il gruppo nasce nel 2003 su iniziativa del cantante e chitarrista
Marco Paddeu e del batterista Marcello Fattore, poi col tempo si sono
aggiunti Adriano Magliocco al basso e Matteo Orlandi al sintetizzatore.
Nel 2008 è stato rilasciato il loro debutto Council From Kaos
e alla fine dello scorso anno ecco questo secondo album. L’intento
della band è di dar vita ad un progetto dark piuttosto originale,
una sorta di incrocio modernista fra Black Sabbath e Pink Floyd, senza
disdegnare Tool, Ulver e Neurosis, ma in certi momenti mi è
sembrato di sentire qualcosa anche dei Christian Death, lo chiamano
Cosmic Doom.
“Red Sky of Sorrow” apre in modo evanescente, un brano
straniante e atmosferico, davvero molto space rock, dove domina quasi
esclusivamente il synth, bisogna arrivare a metà perché
entrino anche gli altri strumenti, il tappeto è ossessivo e
drammatico, mentre il cantato è cantilenante e ci cala in un
clima torbido, a tratti terrificante, davvero molto oscuro e gotico.
“Black Swan” inizia con un basso dinamico, poi entra un
giro di batteria tendente al prog, poi la chitarra liquida porta tutto
su una dimensione onirica di buona efficacia, la band con queste prime
composizioni denota subito una forte originalità, le band citate
in apertura non sono imitate, ma solo prese come esempio per dare
alcuni punti di riferimento. La title track parte con un tiro cattivo
e disturbante, più metallica dei due pezzi che la precedono,
ci porta in un abisso dark davvero poco rassicurante, ancora più
oscura e spettrale, verso il finale c’è spazio anche
per un accenno orientaleggiante intrigante. “0 Kilometers to
Nothing” sembra un viaggio cerebrale nelle nostre angosce più
remote, ancora una volta a sorprenderci è l’efficacia
delle partiture di questi musicisti, che mescolano parti oniriche
a ritmi incalzanti, con dei contrasti densi di fascino oscuro, maestosa
poi la parte più sabbathiana. Mentre tutti questi brani superavano
abbondantemente i sei minuti, “Ancestral Silence” è
poco sopra i due e sembra un esperimento sonoro, molto space, ma riuscito.
La tribale “Silent Sun” a questo punto, pur non facendo
calare la tensione del disco, appare meno intrigante dei pezzi precedenti.
“Distances” è ancora un bel pezzo, nervoso, dove
la tenebra penetra l’ascoltatore con una determinazione incontrastabile.
Altro brano di collegamento è “Inanis”, con libero
sfogo del synth, per arrivare alla conclusiva “That Day I Will
Disappear Into the Sun” che attacca subito con un riff di chitarra
micidiale, poi il brano nel suo svolgimento si assesta sulle coordinate
dei pezzi precedenti, pur mantenendosi più chitarristico, un
bel finale.
I Demetra Sine Die sono una nuova promessa del dark rock, lo dimostrano
con questo disco notevole, un album maturo che lascia ben sperare
per il futuro. Il loro sound ha molta personalità, forse deve
maturare ancora un po’, ma il risultato è già
ben sopra la media. GB
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