Quando ho visto
la cover di questo disco non ho avuto dubbi, al di là del fatto
che è un disegno quasi naif, che al confronto delle copertine
di certi dischi di oggi fa abbastanza sorridere, ma stiamo parlando
di un disco partorito nella prima metà degli anni ottanta e
in quel tempo alcuni dischi metal non brillavano certo per la bellezza
delle loro copertine, ma questa è un’altra storia. I
Devil Childe si presentano con questo (credo) unico disco di metal
oscuro e volutamente diabolico. La band è un power trio di
puro thrash metal, che come riferimento primo ha i Motorhead di Ace
of Spades, poi si possono trovare anche altri riferimenti, come gli
Angelwitch o gli Exciter, ma che non sono così determinanti,
il fatto è che ci troviamo tra le mani un vero concentrato
di puro heavy metal, dove il satanismo è volutamente “decorativo”,
non a caso nelle note viene abbondantemente spiegato che non c’è
nessun coinvolgimento, ma solo tanta voglia di divertirsi. La formazione
è celata da pseudonimi, in realtà si tratta di Jack
Starr (Virgin Steele) che mentre stava registrando con la sua nuova
band, i Burning Starr, decise di dar vita a questo side project per
fare un disco di brutale heavy metal, giusto per lasciare scorrere
libera l’adrenalina che aveva nelle vene. Compagni di avventura
il cantante e batterista Joe Hasselvander e il bassista Ned Meloni.
Si parte col riff ossessivo e tremendamente oscuro della title track,
il cantante entra con un urlo, raramente ho ascoltato un heavy metal
più sulfureo, Jack suona in totale libertà e ci sono
dei passaggi di chitarra da brividi. Non meno oscura è “Reign
of Terror!!”, del resto il titolo è pienamente esplicativo,
ancora passaggi da manuale, Jack alla chitarra è una furia
incontenibile. “Son of a Witch” (che fa il verso a Son
of a Bitch) è puro Motorhead style e tanta voglia di divertirsi.
In “Repent or Die” troviamo un virulento assolo di batteria,
Joe dimostra forza bruta e tecnica, poi entra la chitarra con un altro
giro che sembra citare ancora i Motorhead. “Then the Shadow”
sembra invece richiamare il nostro Paul Chain più metal, siamo
sempre nel territorio del metal più oscuro. La discesa dei
gironi infernali continua con la mefitica “Grave Robber”,
quasi doom, l’incedere è più lento e granitico.
Chiude “Beyond the Grave”, che è decisamente doom,
lenta e cadenzata come si conviene, ancora una volta viene in mente
il nostro pesarese, ottima chiusura di un album che è da annoverare
nei classici del genere.
Da notare che il disco è stato registrato in presa diretta
in due soli giorni, questa immediatezza la si respira lungo tutto
il percorso e conferisce un alone magico al lavoro nel suo complesso.
È sempre molto bello ascoltare degli artisti che suonano in
totale libertà, anche se la registrazione è un po’
lo-fi si avverte un aria di autenticità, quasi da sala prove,
che coinvolge parecchio. In fondo questo è un gran bel disco,
che non dovrebbe mancare nella discografia di ogni true headbanger
che si rispetti. GB
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