Il carattere cosmopolita della Moonjune del volonteroso Leonardo Pavkovic
questa volta ci porta in Brasile ad incontrare la formazione del chitarrista
Nelson Coelho, i Dialeto. Fautori di un prog rock strumentale piuttosto
jazzato, i brasiliani sono giunti al terzo album, ma credo sia il
primo distribuito a livello internazionale. La formazione è
il tipico trio con Nelson alla chitarra, Jorge Pescara alla touchguitar
(il chapman stick è un tipo) e Miguel Angel alla batteria.
“Windmaster” apre proponendo un arpeggio delicato e atmosferico,
che prende corpo pian piano, fino ad arrivare ad un buon prog, che
ingloba lievi cenni di musica brasiliana, Coelho si esprime subito
in un solo da brividi che si esalta in un crescendo mozzafiato. In
“Dorian Grey” il gruppo mostra i muscoli e propone un
western prog robusto e piacevolmente epico, sempre sopra le righe
l’abilità esecutiva del trio. La title track è
una breve parentesi dal sapore orientale, non sarebbe affatto male
se non fosse tanto breve. “Lydia in the Playground” è
una ballatona di buona intensità e ancora una volta con un
brillante assolo di chitarra. “Unimpossible” nella prima
parte è un jazz notturno, lento e sofferto, poi si trasforma
in un prog rock dal ritmo sostenuto con continui cambi di tempo, inizialmente
piace, ma alla lunga stanca e non funziona. Bello il chitarrismo di
“Tarde Demais”, che sembra fatta apposta per esaltare
le doti di Coelho, ma l’importante è che sia piacevole.
“Vintitreis” è abbastanza anonima, meglio la rockeggiante
“Whereisit”. Molto briosa “Sand Horses”, mentre
anonima la conclusiva “Chromaterius”, piena di ricercatezze
tecniche, ma poco comunicativa.
Disco non facile questo, il tasso tecnico è molto alto, ma
in più di un’occasione ho provato stanchezza, certo beneficia
dopo ripetuti ascolti, ma si sente la mancanza di un qualcosa che
sfugge, forse il cantato, forse un songwriting più avvincente.
Nel dubbio il giudizio è sospeso. GB
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