Signore
e signori ecco a voi l’ultimo (ma non ultimo!) supergruppo nato
dal desiderio di fare del possente heavy rock come si faceva ai bei
tempi andati! No le cose non sono come sembrano, infatti i Driver
sono una band nata alla fine degli anni ’80 per dare continuità
al progetto MARS (MacAlpine, Aldrige, Rock e Sarzo), che aveva realizzato
l’interessante Project: Driver, anche se in il gruppo poi non
riuscì a dare alle stampe un album. In formazione oggi come
allora ritroviamo Rob Rock alla voce, il patinato produttore e chitarrista
Roy Z e il batterista Reynold Carlson, mentre le new entry sono Ed
Roth alle tastiere e Aaron Samson al basso. Buona parte dei brani
presentati in questo titolo sono stati ripescati dai vecchi demo e
hanno subito un trattamento di ringiovanimento ed ecco questo platter
di puro heavy rock melodico.
In effetti anche senza leggere niente del gruppo si sente subito il
sound tipico di fine anni ottanta, quello che aveva anche il Madman
ai tempi di The Ultimate Sin per intenderci, ma che avevano anche
molti altri gruppi dell’epoca. I Driver ripropongono con orgoglio
quei suoni che qualcuno non ha mai dimenticato, anche se sinceramente
a me sembra un’operazione puramente nostalgica. Dopo un intro
abbastanza originale parte “I’m A Warrior” che mette
in mostra le intenzioni bellicose dei Driver e sono scintille di metallo
melodico incandescenti, un manifesto di un epoca che in verità
oggi sembra tanto lontana (musicalmente parlando). “Fly Away”
ha delle melodie molto belle e interessanti, molto meno scontate del
brano precedente, anche se è meno anthemica. “Hearts
on Fire” è una prova di forza col suo riffing stoppato,
mentre Rob canta in modo divino, che ugola. Sulla stessa linea d’onda
è la title track che sembra quasi uscire dal repertorio dei
Manowar. Ma la vera perla del disco è la ballad energica “Never
Give Up”, davvero toccante e ancora molto attuale. Il lento
è “Change of Hearts” di molto inferiore alla precedente
e anche molto prevedibile, ai limiti del banale, che si salva solo
per la presenza di Rock alla voce. “Dark World” presenta
ancora delle linee melodiche interessanti e non scontate, questa capacità
del gruppo di fare cose buone e subito dopo mediocri sconcerta un
po’, ma non più di tanto. Come volevasi dimostrare “Winds
of March” non è certo memorabile. “Only Love Can
Save Me Now” è un’altra ballata elettrica strappalacrime,
che funziona, anche se è più datata delle altre. Altro
filler è “Tears That I Cry”, che precede la conclusiva
“I Believe in Love”, che come suggerisce il titolo è
un’altra canzone romantica di cui non si sentiva il bisogno.
Questo Sons Of Thunder è un discaccio che piacerà a
tutti i nostalgici del sound di fine anni ottanta, ci sono alcuni
brani notevoli (pochi) e una line up ottima, la produzione è
molto curata e anche il sound è aggiornato coi tempi, ma resta
comunque un prodotto di nicchia. GB
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