Rock Impressions

Dungen - 4 DUNGEN - 4
Subliminal Records
Distribuzione italiana: -
Genere: Prog
Support: CD - 2008

Nel 1994 i Landberk vengono menzionati come band Prog dell’anno grazie allo stupendo “One Man Tell’s Another”. Una band sempre poco ricordata, specie dopo la scissione della fine anni ’90. Uno stile unico, un modo di suonare il Progressive Rock che ha fatto scuola alle band a venire. E’ vero che la loro influenza è dedita al 100% ai maestri King Crimson, ma la personalità della band riesce a fare il resto. Il merito di tutto questo è del chitarrista Reine Fiske.

Per anni ci siamo chiesti che fine abbia fatto questo musicista e lo ritrovo con piacere nel 2001 con questa band dal nome Dungen. Ho sempre seguito questi svedesi, così come seguivo i Landberk, ma confesso con risultati meno interessanti. Forse ha pesato anche il cantato in lingua madre, davvero limitativo, ma la realtà è che la musica proposta dai Dungen non è perfettamente Prog. Ci sono influenze cantautoriali e passaggi poco articolati, quelli che invece hanno fatto sempre la gioia dei progsters. Ma disco dopo disco maturano, trovano la propria identità. Già l’anno scorso con “Tio Bitar” ho riscontrato un passo avanti.

Giunge a me “4” e l’ascolto con curiosità mista a una quasi rassegnazione, ma cosa accade? Finalmente Fiske risale in cattedra. Il modo di suonare la chitarra è assolutamente intimistico. L’uso dello strumento è totale, l’artista vive con esso un vero e proprio rapporto fisico, grosso modo per rendere l’idea, come lo vive David Gilmour dei Pink Floyd, anche se gli stili sono completamente differenti.
Fiske tocca la sua chitarra con amore, con rabbia, anche nei punti più disparati, la fa scricchiolare, scoppiettare, la sostiene, la carezza e la maltratta, proprio come faceva nei Landberk. “4” in realtà non è il quarto disco di questa band, ma il quinto e finalmente, anche se con ritardo, quello della maturità. Ci sono dieci brani per una durata complessiva di 37.30 minuti. Forse questa breve durata non è un vero difetto, ma un pregio, perché la musica proposta non è articolata e non si disperde in chiacchiere. Un Prog anomalo, anche se ben sostenuto in molti brani, dalle tastiere di Gustav Ejstes. Non suite dunque, ma si punta direttamente alla sostanza. Il cantautoriale resta, così il cantato in svedese, non certo il massimo per le nostre orecchie, ma vi assicuro che il tutto scorre più che dignitosamente.
Fiske in cattedra, si riposa solo nel brano “Bandhagen”, il conclusivo, dove il Prog più canonico si presenta a noi in tutta la sua sfolgorante bellezza. Richiami anni ’70, Hard Prog con assolo adrenalinici, melodie antiche, insomma un menù davvero ricco relegato in poco tempo.

Non un brano migliore dell’altro, è l’insieme che funziona e a questo punto sono curioso ed eccitato per il loro proseguo artistico.
Avevamo provato i Paatos di Stefan Dimle (Basso) nel tempo a sanare la defezione Landberk, ma ora attenzione, la creatività si sta spostando verso l’orizzonte Dungen. Cambiano il termine Progressive Rock, ascoltate questo “4” con attenzione, ha cose nuove da raccontarvi. MS


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