Nel
1994 i Landberk vengono menzionati come band Prog dell’anno
grazie allo stupendo “One Man Tell’s Another”. Una
band sempre poco ricordata, specie dopo la scissione della fine anni
’90. Uno stile unico, un modo di suonare il Progressive Rock
che ha fatto scuola alle band a venire. E’ vero che la loro
influenza è dedita al 100% ai maestri King Crimson, ma la personalità
della band riesce a fare il resto. Il merito di tutto questo è
del chitarrista Reine Fiske.
Per anni ci siamo chiesti che fine abbia fatto questo musicista e
lo ritrovo con piacere nel 2001 con questa band dal nome Dungen. Ho
sempre seguito questi svedesi, così come seguivo i Landberk,
ma confesso con risultati meno interessanti. Forse ha pesato anche
il cantato in lingua madre, davvero limitativo, ma la realtà
è che la musica proposta dai Dungen non è perfettamente
Prog. Ci sono influenze cantautoriali e passaggi poco articolati,
quelli che invece hanno fatto sempre la gioia dei progsters. Ma disco
dopo disco maturano, trovano la propria identità. Già
l’anno scorso con “Tio Bitar” ho riscontrato un
passo avanti.
Giunge a me “4” e l’ascolto con curiosità
mista a una quasi rassegnazione, ma cosa accade? Finalmente Fiske
risale in cattedra. Il modo di suonare la chitarra è assolutamente
intimistico. L’uso dello strumento è totale, l’artista
vive con esso un vero e proprio rapporto fisico, grosso modo per rendere
l’idea, come lo vive David Gilmour dei Pink Floyd, anche se
gli stili sono completamente differenti.
Fiske tocca la sua chitarra con amore, con rabbia, anche nei punti
più disparati, la fa scricchiolare, scoppiettare, la sostiene,
la carezza e la maltratta, proprio come faceva nei Landberk. “4”
in realtà non è il quarto disco di questa band, ma il
quinto e finalmente, anche se con ritardo, quello della maturità.
Ci sono dieci brani per una durata complessiva di 37.30 minuti. Forse
questa breve durata non è un vero difetto, ma un pregio, perché
la musica proposta non è articolata e non si disperde in chiacchiere.
Un Prog anomalo, anche se ben sostenuto in molti brani, dalle tastiere
di Gustav Ejstes. Non suite dunque, ma si punta direttamente alla
sostanza. Il cantautoriale resta, così il cantato in svedese,
non certo il massimo per le nostre orecchie, ma vi assicuro che il
tutto scorre più che dignitosamente.
Fiske in cattedra, si riposa solo nel brano “Bandhagen”,
il conclusivo, dove il Prog più canonico si presenta a noi
in tutta la sua sfolgorante bellezza. Richiami anni ’70, Hard
Prog con assolo adrenalinici, melodie antiche, insomma un menù
davvero ricco relegato in poco tempo.
Non un brano migliore dell’altro, è l’insieme che
funziona e a questo punto sono curioso ed eccitato per il loro proseguo
artistico.
Avevamo provato i Paatos di Stefan Dimle (Basso) nel tempo a sanare
la defezione Landberk, ma ora attenzione, la creatività si
sta spostando verso l’orizzonte Dungen. Cambiano il termine
Progressive Rock, ascoltate questo “4” con attenzione,
ha cose nuove da raccontarvi. MS
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