Ci sono voluti oltre cinque anni per ascoltare il nuovo album degli
Eureka, il progetto del polistrumentista tedesco Frank Bossert. A
differenza del precedente, che era un concept album, questo nuovo
è più una raccolta di canzoni con un tema ricorrente,
la capacità di andare oltre ogni “fine”, la differenza
tra vivere ed esistere. Concetti filosofici che il nostro ha confezionato
in un sound ricco di sfumature e richiami. Fra le sue influenze troviamo
i Pink Floyd, i Rush, gli Yes, i Marillion. Un prog rock trasversale
che ritroviamo in un tessuto new prog di alta fattura. Diversi sono
gli ospiti, spicca su tutti Yogi Lang dei RPWL, che dà un contributo
significativo alla riuscita del disco, di cui cura il missaggio, oltre
a suonare le tastiere in due brani. Steve Hanson si occupa della batteria
in buona parte dei pezzi, mentre ai cori troviamo diversi contributi.
Il cd si apre con un intro dal sapore molto pinkfloydiano, ma questo
richiamo sarà meno evidente nei brani seguenti. “Animated
World” è un bel brano rock, con ottime melodie e suoni
estremamente curati, il prog è ravvisabile negli arrangiamenti
e nella costruzione di ritmiche complesse e mai banali, mentre il
gusto melodico è tipico del new prog, che Frank rilegge con
personalità. “Stolen Child” riflette sul tema della
Sindrome da Alienazione Parentale (Parental Alienation Syndrome),
che secondo alcune teorie psicanalitiche, può affliggere i
figli vittime di separazioni fortemente conflittuali. Il tema è
delicato e Bossert lo affronta con un brano pieno di forza vitale
e un testo introspettivo molto ispirato. “One Million Stars”
attacca con un giro di basso davvero felice, un bel brano incalzante
e molto riuscito, l’andamento è pulsante e fresco, in
pieno new prog style. La vitalità gioiosa di Bossert esplode
in titoli come “State of View”, non è facile fare
musica che esprime gioia di vivere, anzi, e Frank ci riesce davvero
bene. Anche “Chase the Dream” sembra contagiata dalla
stessa voglia di vivere. “Escape!” è uno dei momenti
più rock del disco, uno strumentale nervoso, con ottime linee
ritmiche, il basso è in grande spolvero, ma tutto funziona
come un orologio. “On the Run” è un’altra
bella canzone che funziona molto bene, bilanciata tra tensioni moderne
e melodie penetranti, a tratti mi ricorda gli ultimi Boston. Gli elementi
più folk del disco precedente vengono in parte recuperati nella
complessa “The Big Picture”, quasi una suite, sicuramente
il momento più prog. Chiude “Solid Ground”, un
brano introspettivo, che con una serena dolcezza ci saluta.
La capacità di Bossert di materializzare belle atmosfere è
invidiabile, del resto la tradizione tedesca ci ha abituato ad una
vena melodica sempre pronta a sorprenderci e ancora ci riesce. GB
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