Agli
inizi degli anni ’90, in pieno boom prog metal, ecco affacciarsi
sulla scena questi musicisti lombardi, autori di un sound in bilico
tra tentazioni prog ad alto tasso tecnico e sonorità settantine,
il loro inizio è stato segnato da un crescendo di consensi
e mi ricordo ancora il loro quarto album Kite, che a suo tempo (era
il 2000) avevo recensito con calore, conquistato dal mix di tecnica
e melodia che contraddistingueva le loro composizioni, ma non mi sarei
aspettato di dover aspettare undici anni per ascoltare il seguito
di un album così promettente. Nel frattempo la formazione è
rimasta praticamente inalterata.
Questo nuovo album si compone di sette brani, l’apertura è
affidata alla settantina title track, un brano che sembra perdere
i connotati prog in favore di una grande energia, l’influenza
principale sembra arrivare dai Deep Purple. La successiva “Here
and Now” col wah wah aggiunge un nuovo tassello, mentre le tastiere
disegnano dei ricami pregevoli, tecnica e smalto non sono certo andati
perduti, poi ecco che entra una sezione che flirta tra funky e r&b.
“Farewell on Planet F19” è una ballata struggente,
con un bel solo di piano e sul finale uno ancora più intenso
di chitarra. Molto piacevoli le melodie di “More Than Reality”
e qui qualche spunto prog comincia a riapparire, ci sono anche richiami
jazz, ma sono mascherati e non facilmente riconoscibili, sicuramente
un brano meno potete e appariscente, ma di gran classe. Ma il prog
emerge deciso nella quinta traccia, “Rygma 12 The Wisdom of
the Sea”, anche se non mancano richiami purpleiani, sottolineati
anche da una delle migliori prove del cantante Franco, comunque il
brano è praticamente una suite, ricca di atmosfere diverse
e di cambi di situazione, sono sicuro che i fans del prog non resteranno
delusi. “Filthy Invaders Dawn” è un tuffo nello
space rock, si stacca decisamente dal resto del repertorio, mostrando
una band decisamente versatile e amante della sperimentazione, ancora
il confine col prog viene abbondantemente superato, il primo paragone
che mi viene è con Devin Townsend, quello di Ziltoid. Chiude
la ballata dal gusto folkeggiante “The Oak Tree”, ancora
una zampata di classe, potremmo dire che gli Evil Wings ci hanno abituato
a questo, ma non è vero, perché il loro disco riesce
a sorprenderci brano dopo brano.
In un tempo come il nostro, dove tutto sembra bruciare velocemente
e tutto viene divorato in fretta, fa una certa impressione ritrovare
una band che sembrava dimenticata da troppo tempo, ma è anche
un bel segno di speranza, la speranza e la passione che gli Evil Wings
hanno messo nel realizzare questo disco, sentimenti che non devono
assolutamente andare sprecati. GB
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