Già ci aveva colpito il disco precedente di questa band capitanata
dal chitarrista portoghese Hugo Flores e dalla cantante svedese Jessica
Letho, per la sua coraggiosa commistione di prog metal, gothic e synphonic
rock, un mix piuttosto originale. Hugo ha iniziato attorno al 2000
ed ha messo in piedi vari progetti fra cui Atlantis, Sonic Pulsar,
Project Creation e infine questo nuovo condiviso con la singer Jessica
Flores, che alle spalle ha un altro paio di progetti, Once There Was
e Beto Vazquez Infinity, inoltre è una patita dei gruppi Gothic
Metal come i Nightwish di cui cura un sito internet. I due insieme
sono riusciti a creare un progetto suggestivo e intrigante, che unisce
le rispettive passioni musicali in un sound personale.
L’album è composto da quattordici brani ed arriva quasi
a settanta minuti, tutti giocati su questo sound che unisce il tipico
cantato femminile dei gruppi come i Nightwish ad un prog metal oscuro
e molto teatrale, che Hugo compone con grande proprietà di
mezzi espressivi, tra sfuriate metalliche molto rabbiose e momenti
sinfonici, ma ci sono anche dei momenti vicini a certo folk, altri
terribilmente oscuri e altri ancora onirici e poetici, una bella varietà
che colpisce soprattutto nella prima metà del cd. La partenza
è molto epica con la cadenzata “Voyage to Utopia”,
melodie al limite del folk celtico e una compatta base metal gothic
su ritmiche complesse sono gli ingredienti, sicuramente un mix che
colpisce subito per originalità. “The Weight of the World”
invece ha dei suoni confusi, in particolare della batteria, che penso
sia campionata e non è incisa bene, questo affetta il risultato
complessivo del brano, che risulta deludente. “Inner Station”
ha un buon incedere, che ricorda abbastanza il gothic, molto bella
la parte di violino. Il primo brano a colpirmi veramente però
è “Sonic Sensations”, che propone delle melodie
veramente originali, che mescolano suggestioni alla Enya a tutto quello
che abbiamo già detto prima. Bella e convincente anche la sorprendente
“The Road Around Saturn”, che propone molti cambi di tempo
e atmosfera. Strana è “Garden of All Season”, che
ha un’aura incantata, non è registrata benissimo, anzi
a tratti risulta molto caotica, ma è originale. Ancora più
folle “Dark Utopia”, che propone delle partiture futuriste,
che in certi momenti mi convincono poco, ma è un brano che
richiede più ascolti. Siamo a metà disco e da questo
punto il disco, pur mantendosi su buoni livelli, non offre più
grandi novità e verso il finale si è stemperato l’effetto
sorpresa.
I Factory of Dreams sono una band orignale, che meriterebbe una produzione
migliore, perché di idee nei loro dischi ne hanno messe davvero
tante e sarebbe un peccato se dovessero cadere nell’anonimato,
non se lo meritano. GB
Altre recensioni: Poles
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