Per un mio preciso modo di vivere la musica, essa deve essere una
confluenza di fattori, ad iniziare dalla storia, ossia avere in se
qualcosa del passato, avere personalità che modifichi in un
proprio stile questo passato, un mix di generi (se possibile), buone
melodie da ricordare e quindi non soltanto ricerca, ed infine mi deve
toccare le corde dell’anima. Troppe cose vero? In effetti non
sempre i prodotti musicali riescono ad avere contemporaneamente tutti
questi fattori al proprio interno, anche perché ogni ascoltatore
ha un gusto personale a se, quindi inevitabilmente difficile accontentare
tutti. Eppure anche nel 2017 certe emozioni non mancano e spesso derivano
da generi musicali non prettamente popolari, come ad esempio il Progressive
Metal.
I Feronia provengono da Torino e miscelano elementi Progressive Rock
all’Heavy Metal senza disdegnare ingredienti epici. Sono composti
da Elena Lippe (voce), Fabio Rossin (chitarra), Daniele Giorgini (basso)
e Fabrizio Signorino (batteria). Si formano nel 2015 e l’intento
è quello di riunire nella musica messaggi importanti quali
poesia, ecologia, arte, psicologia ricerca spirituale, consapevolezza,
politica e molto altro ancora. L’uomo non è al centro
di tutto, neppure la donna, piuttosto nel pianeta tutto è incluso.
Questa visione a “spirale” o meglio ancora “circolare”
delle cose, ispira il nome Feronia, ninfa di origine etrusca (c’è
chi dice Dea) che fa parte del pantheon delle Dee Italiche.
Molta carne al fuoco dunque, a partire da “Priestess Of The
Ancient New”, prima canzone dell’album. La chitarra alza
subito una barriera sonora importante e la voce di Elena ben si staglia
nel contesto senza strafare, puntando sull’interpretazione piuttosto
che alla fisicità. I più attenti di voi noteranno richiami
a band come Queensryche, Nightwish e Rush.
Il sound Feronia tuttavia ha qualcosa di “italico”, i
riferimenti si, ma metabolizzati, così lo si può evincere
anche all’ascolto di “Atropos”. Il ritmo rimane
sostenuto nella successiva “Wounded Healer”, canzone muscolosa
contenente un buon assolo di chitarra, seppur di breve durata. Discorso
analogo per “Garden Of Sweet Delights”, quasi quattro
minuti di lavico metallo con un buon ritornello. Non stonerebbe nel
mastodontico “Operation: Mindcrime” dei Queensryche, come
non ci stonerebbe “Free Flight”. Più ricercata
anche nelle ritmiche “Humanist”, qui i giochi sono differenti,
si accorpano differenti caratteristiche del Metal, soprattutto quelle
delle band già citate.
C’è anche un frangente maggiormente pacato dal titolo
“Innocence”, qui la prestazione vocale è più
matura, Elena Lippe gioca in casa. Ancora scintille con “Depths
Of Self Delusion”, un alone di oscurità aleggia fra le
note, quel velo che dona al brano un fascino in più. “Exile”
non aggiunge e non toglie nulla da quanto detto, mentre più
giocosa risulta “Thumbs Up!”, altra vetrina per Elena.
La ritmica è rodata e oliata a dovere. Il disco si chiude con
un pugno allo stomaco per graniticità, “A New Life”
sa dove colpire.
Tengo a sottolineare anche un buon artwork di accompagnamento al disco,
in versione cartonata e contenente un dettagliato libretto con testi
e foto. Un prodotto maturo, professionale e ben registrato. Se vi
capita o se lo cercate, dategli un attento ascolto. MS
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