INTERVISTA
CON GIAN CASTELLO
di Giancarlo Bolther
Ciao
Gian, toglimi una curiosità un po’ banale, il tuo è
un nome d’arte? Perché associato alla musica che proponi
sembra un gioco del destino…
Mi chiamo Giancarlo Castello. Ho solo abbreviato Giancarlo con Gian
perché suona meglio.
Merlino L’Incantatore, che se non mi sbaglio è
stato il tuo primo album solista, è diventato anche un’opera
teatrale, mi puoi parlare un po’ più approfonditamente
di questo progetto, della sua genesi e del suo sviluppo?
L’aspetto teatrale di Merlino era già presente
alla fine degli anni ’70 quando Merlino nasce come un lavoro
di diapositive e musica dal vivo con voce narrante. È degli
anni ‘80 una versione teatrale realizzata alla “Corte
dei Miracoli” di Genova. L’idea di riproporlo venti anni
dopo al Teatro Garage di Genova è nata dalla consapevolezza
che i vari festival celtici o semplicemente i concerti in piazza sono
luoghi troppo dispersivi per uno spettacolo - cerimonia come il Merlino.
Oltre a ciò sentivo l’esigenza di confrontarmi con un
pubblico attento come quello che assiste agli spettacoli teatrali.
Taliesin è uscito su etichetta Black Widow, una label
molto particolare, che non è famosa per avere in catalogo musica
folk, com’è nata la vostra collaborazione?
Il rapporto con la Black Widow è nato probabilmente
dal fatto che il CD Taliesin ha alcuni aspetti musicali “progressivi”
con momenti ora drammatici ed epici, ora struggenti e malinconici.
Oltre ciò credo che abbia interessato anche l’atmosfera
rarefatta e un po’ misteriosa di questo lavoro. Per queste caratteristiche
e questa atmosfera penso che Taliesin sia entrato nella produzione
Black Widow che si è dimostrata veramente valida a divulgare
il lavoro. È stato infatti un errore da parte mia affidare
il mio CD “I Regni Segreti” ad una etichetta di Milano
che si era presentata anche come organizzatrice di concerti. Ancora
oggi, infatti, i “Regni Segreti” è un CD poco recensito
e conosciuto.
Nella nota introduttiva a “I Regni Segreti” dici
di essere stato affascinato dal mondo fatato (in gergo i “fairies”)
durante un viaggio in Scozia, puoi raccontare qualche aneddoto curioso
che ti è capitato che ha a che fare con questo mondo?
Dato che ho una mentalità poco scientifica ma una
tendenza al sogno e a fantasticare, una tradizione così ricca
di fiabe come quella celtica mi ha letteralmente stregato. “I
Regni Segreti” ad esempio sono quegli aspetti della vita e quei
mondi che noi avvertiamo come veri anche se non riusciamo a spiegarli
e a comprenderli: le presenze, le coincidenze, i presagi, gli spiriti
degli antenati, i sogni, lo scorrere del tempo, la morte … l’anima.
Una volta, in un quadrilatero di pietre vicino a Carnac (in Bretagna)
mi sono ritrovato alle 8 di sera senza accorgermi che ero lì
forse da 3 ore: il tempo, all’interno, era volato. La cosa curiosa
è stata che alcuni giorni dopo a Lorient ho conosciuto una
persona che mi ha parlato dello stesso quadrilatero come di un posto
dove un suo amico sensitivo non aveva voluto entrare perché
considerato da lui in qualche modo un posto pericoloso.
Sei un cantore della cultura della fiaba, del sogno, del
piacere del racconto, della “pietra” testimone del tempo
e della storia, della serena attesa… La tua è una crociata
contro la cultura moderna materialistica del “tutto subito”
e della velocità che punta verso il “nulla”, la
cultura dell’immagine e dell’apparire, dello scientismo
per cui ciò che non si può spiegare allora non esiste?
Ti dirò una cosa che può sintetizzare il mio
modo di pensare: dopo anni di studio del flauto traverso irlandese
sono sempre alla ricerca del mio vero suono. Credo che ciò
stia ad indicare che esprimersi per me è raggiungere un equilibrio
fra tecnica, sentimento e ispirazione. Come dice Taliesin in un suo
poema “nell’ispirazione senza difetto hanno parte sette
ventine di dee ma fra loro una sola veramente“. È la
dea Brigit, la dea dell’arte, della musica, della poesia. Nulla
a che vedere con l’apparire e con la mentalità del tutto
subito.
Riallacciandomi alla domanda precedente, ti senti un pesce
fuor d’acqua o sei riuscito a trovare un equilibrio?
L’ispirazione va e viene e mi sembra sempre più
rara perciò, anche considerando che solo da giovane uno è
in preda ad una furia creativa (che di per sé - credo - non
è segno di grande equilibrio), direi che attualmente sento
l’esigenza di ritrovare il filo che unisce i miei aspetti creativi
e di curare le mie creazioni artistiche in modo più ordinato
soprattutto dal punto di vista della distribuzione. La realtà
che mi circonda non è di grande aiuto … In pratica sono
un frammisto di ciò che resta della furia creativa giovanile
e del tentativo di trovare una pace interiore, pace che raggiungo
a tratti specie se riesco a realizzare in studio di registrazione
dei brani suggestivi e poetici anche grazie all’aiuto di quel
genio del suono e della musica che è Marco Canepa (Orange Studio
di Genova).
Io ho ascoltato Merlino, Taliesin e I Regni Segreti, dischi
molto belli e armoniosi, ho avuto l’impressione che tu abbia
vestito più i panni di uno “storyteller”, piuttosto
che quelli di un musicista, una scelta voluta o casuale?
Confermo la tua impressione: vesto volentieri i panni di
uno “story teller”, ma “musicale” come gli
antichi bardi.
Oltre alla tua carriera solista hai fatto parte anche di
varie formazioni, mi puoi raccontare un po’ quali sono state
le tue esperienze più significative in questo senso?
Potrei fare un lungo elenco di gruppi dove ho suonato sia
come fondatore che esecutore (Birkin Tree, La Pietra nel Campo, Mistral
etc.). Devo però ammettere che la vera intesa l’ho avuta
solo con pochi musicisti. Come mi ha confidato una volta il mio compianto
maestro Micho Russell del County Clare, la migliore intesa è
quella con sé stessi, perché gli altri musicisti spesso
“ti rovinano lo stile”. Su questa linea, piuttosto che
suonare con persone che non sono sulla mia stessa lunghezza d’onda,
preferisco dialogare con le mie basi musicali. Ecco perché
spesso nei concerti mi presento da solo e faccio uso delle basi.
Ho letto che sei un insegnante, di cosa ti occupi esattamente?
[se non insegni musica] Ti consideri un musicista che fa l’insegnante
o un insegnante che fa il musicista?
Sono un insegnante d’Italiano che fa il sostegno nelle
Medie un po’ per vocazione ( = aiutare il diverso a non soffrire
della sua diversità), un po’ per comodo (= il lavoro
mi lascia un po’ di tempo libero per la musica). Per una mia
definizione mi piace collegarmi idealmente a quanto dice Kafka in
una sua riflessione sull’apparenza (= gli alberi):
sono un insegnante perché è il mio lavoro
in realtà sono un musicista perché per me è più
importante la
musica che il lavoro da insegnante
non sono né un insegnante né un musicista ma una persona
che cerca di esprimere il suo mondo interiore con parole,
sentimenti, poesia e musica cercando una sintonia col
mondo.
Col lavoro che fai sarai sempre in contatto coi giovani,
questo ti stimola come musicista?
Sui giovani corro il rischio di fare quello che hanno sempre
fatto o detto i genitori a proposito dei propri figli: “ai miei
tempi …”. Con gli anni ’70 che ho vissuto dire com’era
diversa la qualità della vita e com’era più creativo
vivere ci vuole poco: basta ascoltare la musica dei Genesis o Aqualung
dei Jethro Tull. Non voglio perciò esprimere giudizi; ritengo
però che in giro ci sia molto conformismo.
Ai concerti di musica celtica a cui assisto, solitamente
c’è un pubblico abbastanza “maturo”, come
reagiscono i giovani alla musica celtica?
Rimangono incuriositi e a volte spiazzati perché in
effetti la musica celtica è diversa da tutte le altre: credo
che ciò sia evidente. Lo è di meno quando viene proposta
in versione pseudo - rockeggiante. In tal caso risulta - purtroppo
- più comprensibile. Dico purtroppo perché in quella
veste perde di poesia e di autenticità.
So che fai delle attività di approccio alla musica
anche per bambini, in cosa consistono?
Da alcuni anni svolgo un’attività di educazione
musicale di base con bambini dell’asilo. Utilizzo filastrocche,
ritmi, l’ascolto della musica, drammatizzazione. Uso molto musica
irlandese con semplici passi di danza (giga, reel) e bodhràn
(= percussione irlandese). Ultimamente - grazie alla collaborazione
con la danzatrice di danza indiana tradizionale Angela Dellepiane
- ho potuto imparare alcuni esercizi di preparazione alla danza indiana.
Così ho inserito nella mia educazione musicale anche questi
“passi di danza indiana”: aiutano notevolmente a sviluppare
il coordinamento motorio e oltre a ciò vengono eseguiti con
l’accompagnamento della voce.
Tu hai iniziato ad occuparti di musica celtica nei lontani
anni ’70, quando, se non erro, da noi era ancora praticamente
sconosciuta, com’è nata questa passione?
Più che passione è stato scoprire un mondo
e trovarvi sintonia e immergersi… (i primi festival di Lorient,
la comunità di Findhorn, Alan Stivell…).
Da qualche parte ho letto che la musica celtica e i Chieftains
in particolare sono stati lanciati attraverso il film di Kubric “Barry
Lindon”, confermi questa affermazione?
È molto probabile: un artista o un gruppo musicale
diventano famosi improvvisamente con qualcosa che ha un grosso richiamo
per il pubblico. Ricordo al riguardo come il jazzista Gato Barbieri,
sconosciuto al grande pubblico, sia diventato all’improvviso
famoso grazie alla sua colonna sonora per il film “Ultimo tango
a Parigi”, film che destò scalpore all’epoca. Forse
è accaduta la stessa cosa a Simon e Garfunkel con la colonna
sonora del film “Il Laureato”, anche se erano all’epoca
già abbastanza conosciuti.
Oggi il panorama è molto cambiato e tutti, almeno
una volta, hanno sentito un brano di folk celtico, in giro ci sono
molti festivals e anche riviste specializzate, per te è un
sogno che si è realizzato o c’è ancora molto da
fare?
Com’è accaduto in Italia per la musica africana
quando tale musica è diventata di moda, privata però
dei suoi significati più profondi, così è - mi
pare - per la musica celtica. Tradizionalmente esistono tre tipi di
musica celtica: la musica del sonno, del pianto e del riso (questo
viene detto in vari testi irlandesi antichi).
La musica del sonno è quella magica dell’incantamento,
quella del pianto è per testimoniare un dolore, quella del
riso è per svagarsi e divertirsi. La musica celtica oggi in
Italia sembra seguire soprattutto questo terzo aspetto con l’idea
ossessiva però che bisogna a tutti i costi divertirsi. Non
è molto diverso da ciò che accade in discoteca o allo
stadio: ci si sente protagonisti di un evento “importante”.
Probabilmente ascoltare “musica del sonno” o “del
pianto” comporta sentirsi soli con sé stessi e questo
non piace e non fa “evento”.
Secondo te, perché la musica celtica ha avuto tanto
successo?
Credo che abbia avuto successo per la novità. Ci sono
poi motivi più “seri”. Il movimento “New
Age” ad esempio, che vuole riportare la vita ad una dimensione
più umana, può aver stimolato l’interesse per
una musica che è molto vicina alla natura. Oltre a questo,
molti vedono nella musica celtica un’occasione per imparare
uno strumento, per mangiare o bere in compagnia, per danzare. Su questa
linea vengono fondati clan e associazioni culturali o vengono organizzati
combattimenti in una specie di ricostruzione storica. In questi ultimi
due aspetti, che hanno a volte il sapore dei giochi di ruolo dove
ciascuno può assumere il nome o l’identità che
preferisce, vedo dei collegamenti anche con il mondo “Fantasy”.
Non sono un esperto in questo campo, ma mi sembra che non
sia nato un medesimo interesse per la musica popolare italiana, che
credo non sia meno ricca di quella celtica, so che a livello di istituzioni
nei paesi nordici c’è una grande attenzione al patrimonio
artistico locale, infatti tutti i brani musicali sono stati rigorosamente
catalogati e preservati, ma è solo questo che ha dato impulso
al genere o ci sono anche altri motivi?
In realtà c’è un certo interesse per
la musica popolare italiana. Ma mentre per la musica celtica è
facile sentirsi parte di una tradizione vivente, per la musica popolare
italiana penso che ci si senta facilmente un pesce fuor d’acqua:
mancano scuole di musica popolare, studio dei dialetti, le danze tradizionali
sono spesso ignorate: si balla il liscio piuttosto. A complicare le
cose interviene il fatto che il folklore in Italia è molto
diverso da regione a regione, perciò sorgono anche problemi
di comprensibilità delle proposte. Non è un caso che
diventino famosi solo quei gruppi che propongono il folk italiano
in versione rockeggiante con ritmi aggressivi spesso estranei al folk
stesso. E qui rientriamo nel discorso della “musica del riso”:
creare evento ad ogni costo. In Irlanda se tu suoni nel pub una Kesh
jig puoi stare certo che tutti sanno cosa stai facendo e non hai bisogno
di aggiungere un basso o una batteria per far battere le mani agli
ascoltatori: tutti sanno cosa stai facendo. Certo qui in Italia è
diverso: non sempre chi suona musica celtica viene capito ma basta
fare un viaggio in Irlanda magari iscrivendosi ad un corso di musica
o ascoltare qualche CD dei vari maestri del genere per riprendere
coraggio ed entusiasmo.
Cos’hai trovato nella cultura celtica che non c’era
nella tradizione musicale popolare italiana, il tuo interesse ha un
carattere puramente estetico/artistico o c’è qualcosa
di più?
Per rispondere in modo semplice ti dirò che già
verso i miei 17/18 anni scrivevo versi in uno stile che ho poi ritrovato
nei poemi degli antichi bardi.
La cultura celtica nel tempo è stata associata a molte
cose diverse, ad esempio pochi sanno che Hitler voleva usarla come
nuova religione di stato e ancora oggi alcuni gruppi di destra la
utilizzano come simbolo di identità, poi è arrivata
la New Age che ha cercato in qualche modo di inglobarla, non ultima
anche la Lega utilizza dei simboli celtici alla ricerca di un’identità,
poi ci sono molti movimenti neo pagani che attraverso lo studio del
celtismo cercano delle radici comuni, a volte animati da uno spirito
di rivalsa contro il cristianesimo, altre volte con intenti puramente
storici. Come vedi personalmente tutte queste forme di interesse verso
la cultura celtica?
Credo che un modo serio di avvicinarsi alla cultura celtica
sia quello di documentarsi sugli aspetti mitologici e storici di questa
cultura. Esistono ad esempio studi sulle concordanze fra la cultura
celtica e quella indiana - vedica. Con la danzatrice di danza tradizionale
indiana Angela Dellepiane, nello spettacolo “La leggenda di
Rama, il druida primordiale” - io con la musica, lei con la
danza - tracciamo un ponte ideale fra questi due mondi solo apparentemente
lontani.
Il tuo cammino musicale è molto rigoroso, mentre ci
sono artisti che hanno cercato di traghettare il genere mescolandolo
con la musica contemporanea, col rock (penso agli Horlips, uno dei
miei gruppi preferiti), con la dark wave e con il metal (come Skyclad
e Cruachan), cosa pensi di queste commistioni, c’è qualcosa
che ti piace?
Non sono bene informato al riguardo. Personalmente ritengo
che la vera musica celtica di per sé non abbia bisogno di basso
e batteria poiché le melodie da danza, se ben eseguite, hanno
già di per sé ritmo, fluidità, ipnosi. Nei brani
lenti penso sia una musica dolce, incantata, a volte struggente. Se
chi la propone tiene in considerazione questi elementi penso faccia
della buona musica e può permettersi così arrangiamenti
che si distaccano dalla tradizione.
Dire Musica Celtica per molti è sinonimo di Irlanda,
ma abbiamo imparato che ci sono tradizioni celtiche in molte altre
parti d’Europa come la Bretagna, la Scozia, le Asturie, i Pirenei,
compresa l’Italia, tu hai approfondito anche queste? [se sì]
Quali sono le principali differenze (musicali) che hanno contraddistinto
le diverse zone geografiche?
Ho approfondito la musica irlandese studiando flauto traverso
con vari maestri irlandesi. Ho anche studiato al flauto musica scozzese
per cornamusa suonando con il piper Alberto Massi che è un
vero maestro del genere. Conosco anche la musica bretone.
Semplificando molto direi che la musica irlandese si basa molto sull’uileann
- pipes (= cornamusa irlandese), quella scozzese sulla bag - pipe
e quella bretone è strutturata soprattutto per la bombarda.
Questo non vuol dire che il repertorio sia adatto solo a questi strumenti,
ma che gli altri strumenti tipici (il violino, l’organetto,
la concertina, il tin whistle, il flauto traverso, la voce stessa
etc.) spesso ricalcano le caratteristiche e l’impronta di questi
strumenti.
L’Irlanda è il paese celtico per eccellenza,
un paese affascinante che ho avuto la fortuna di visitare e che mi
è rimasto nel cuore, immagino che ci sarai andato varie volte,
com’è l’Irlanda di Gian Castello?
È l’Irlanda che rifiuta l’omologazione,
il consumismo e le mode, è l’Irlanda che in musica resiste
con gli stili regionali. È l’Irlanda dove la musica e
la danza non sono un fatto commerciale e tristemente competitivo ma
piuttosto un valore sociale.
E dei suoi eterni conflitti cosa ne pensi?
I suoi eterni conflitti hanno creato una coscienza nazionale
e un grande rispetto per le tradizioni e le varie espressioni artistiche.
Se un giovane volesse incominciare a farsi una piccola raccolta
di dischi di musica celtica tradizionale, quali sono i primi titoli
che dovrebbe cercare (diciamo almeno una decina di album, ma il numero
è indicativo)?
Consiglierei: Planxty, Chieftains, Tannahill Weavers, Lunàsa,
Martin Hayes, Ossian, Matt Molloy, De Dannan. E per il celtico un
po’ “mistico - esoterico”: Alan Stivell, Paul Dooley,
Robin Williamson, Pentangle, e … il sottoscritto.
Vuoi chiudere con un pensiero finale…
Uscirà fra breve il mio quinto CD “La Leggenda
di Rama, il druido primordiale”. Sarai invitato alla presentazione.
Grazie di cuore Gian.
Grazie a te.
Recensioni: Merlino
l’Incantatore; Taliesin;
I Regni Segreti; Rama;
The
Mist Covered Mountains of Home
Per un assaggio: http://www.myspace.com/giancastello
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