Sicuramente Stefano Giannotti non è un artista musicale scontato,
tutte le sue opere e progetti hanno sempre un fondo di ricerca sonora
e strutturale. Lo abbiamo conosciuto ultimamente con Oteme, ma la
sua carriera è davvero lunga e ricca di partecipazioni. Inizia
a lasciare testimonianze del suo operato nel 1991 con “Ritratto
Di Paese”, documentario sonoro sugli anziani di un piccolo paese
della campagna Italiana. Numerose le nomination in contest vari come
Prix Italia, Grand Prix Nova (Bucarest) per fare dei nomi, ma anche
vittorie come nel 2000 con il 1° Premio nell’ International
Glassharmonica Music Festival, e “Prix spécial de l’humor”,
Philadelphia (U.S.A.). Giannotti è un compositore, autore,
chitarrista e performer. Si è diplomato in composizione con
Pietro Rigacci ed è stato assistente di Alvin Curran in “Crystal
Psalms” e “Tufo Muto”.
Qui con “Amore Mio” lo ritroviamo in una veste più
intimistica ma assolutamente ricercata. Il disco è accompagnato
da una folta compagnia di strumentisti, alcuni nomi: Henrik von Holtum
(voce), Valentina Cinquini (voce, arpa), Frank Thomé (percussioni,
sega), Felix Borel e Sharon Jaari (violino), Raphael Sachs (viola),
Rahel Krämer (violoncello) e Lars Olaf Schaper (contrabbasso).
Ho iniziato dicendo che Giannotti non è un artista scontato
e questo lo si evince immediatamente dall’inizio del disco in
“I Love You”, dove voce, un coro di gargarismi e tosse
ci sommergono. Voce femminile, maschile (tedesco) e percussioni a
seguire in “FAQs”, più che un cantato un parlato
armonico fra tecnologia ed umanità (Kraftwerk?). Cage e Feldman
fanno capolino fra le composizioni campionate. Ancora voci, parlato
tedesco e suoni campionati in “Girotondo” su ritmiche
insistenti e convulse. Provocatore anche in “Amore Mio”
cantato in maniera stonata, supplicata e fredda su un telefono che
chiama insistentemente fino a giungere all’occupato finale.
Davvero mancanza di comunicazione in tutti i sensi. Segue “Claudia
Ride” , strutturata su di una risata in loop e modificata elettronicamente.
Interviene un armonica a bocca a rendere il tutto ancora più
surreale. Si gioca ancora sulle stonature, ma questa volta strumentali
in “How My Family Came To America”, un Blues stuprato
e narrato. Le provocazioni e le sorprese non finiscono mai, proseguono
fino all’ultimo solco ottico di “Amore Mio (Reprise)”,
il tredicesimo.
Giannotti è evidente che si è divertito a comunicare
queste sensazioni, a raccontare, a stupire con composizioni, suoni
e loop, di sicuro l’ascoltatore non preparato avrà difficoltà
ad assimilare la proposta, ma la comunicazione presentata dall’autore
è importante. La chiamo comunicazione per il semplice fatto
che chi ascolta diventa parte del disco con le proprie sensazioni,
interagendo con l’artista stesso vivendo le sue vicissitudini,
più o meno come è accaduto con “Lobotomia”
degli Area. A dir poco inusuale. MS
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