Secondo album per i Gotthard 2.0 chiamati a confermare la buona ripartenza
con "Firebirth" (2012) dopo la tragica scomparsa del leader
Steve Lee.
Il mio approccio a questo disco è stato il più possibile
libero da condizionamenti di come è stata la band col compianto
cantante, vera forza motrice la cui assenza è difficile da
colmare pienamente e probabilmente avrebbero fatto meglio i Gotthard
a voltare pagina ricominciando con un altro nome. Ma si sa, dopo tanta
fatica a costruirsene uno riconosciuto nel mondo, non è facile
rinunciare a tutto ciò ed è sicuramente meno complicato
provare a capitalizzare il massimo.
Nel suo complesso "Bang!" non mi è dispiaciuto e
dimostra come l'attitudine a comporre brani accattivanti e forti riffs
di chitarra sia ancora piuttosto presente nel DNA della band che,
tuttavia, prova a ricostruirsi una propria nuova dimensione che sicuramente
a diversi fans più ortodossi risulterà poco digestibile.
Abbastanza bene l'opener "Bang", hard rock bluesato che
mi ha ricordato i primi passi dei Deep Purple Mark II, ed anche non
male "Get Up And Move On", tirato rocker che difetta un
pò di personalità. Molto meglio "Feel What I Feel",
scelto anche quale primo singolo e video, malinconico rocker che punta
ad un'ampia platea senza rinunciare alla propria identità da
rocker e con un buon refrain di grande presa.
"C'est La Vie" è un lento studiato per esaltare le
melodie vocali ed i ricercati arrangiamenti di violini e fisarmonica,
cui sembra mancare qualcosa per proiettarsi su elevati livelli. L'atmosfera
torna ad infuocarsi con "Jump The Gun", più concentrata
sul groove e sui riffs che sul ritornello ad effetto, e con "Spread
Your Wings" che torna ad abbeverarsi all'hard rock inglese anni
settanta modello Deep Purple/Uriah Heep e ammetto che questa inclinazione
non mi dispiace affatto, in particolare se vi aggiungo l'intrigante
porzione strumentale. La cadenzata "I Won't Look Down" è
l'ennesima reinterpretazione di "Kashmir" dei Led Zeppelin,
esercitazione riuscita, ma vorrei comunque qualcosa di più
che viene dato dalla grintosa "My Belief" e in parte dal
delicato duetto eseguito in "Maybe" fra Nic Maeder e la
cantante americana Melody Tibbets, brano sin troppo smielato per i
suoi pimi tre quarti, ma che potrebbe giocare un suo ruolo nell'ottenere
airplay oltreoceano.
A dispetto dei riferimenti ai Foreigner in chiave hard rock, "Red
On A Sleeve" è poco convincente e non sarebbe stato un
peccato lasciarla fuori dalla tracklist al pari della scialba "Mr
Ticket Man", mentre "What You Get" ha una sua buona
ragione di esservi con quelle linee vocali e strumentali drammatiche.
I dieci minuti della conclusiva "Thank You" con tanto di
epico arrangiamento sinfonico sono stati ispirati a Leo Leoni dalla
scomparsa della madre, e Leo ne ha voluto fare anche un omaggio a
tutte le madri del mondo. Seppur nata come una tipica ballad, la canzone
si è arricchita strada facendo di idee, arrangiamenti e parti,
diventando uno dei brani più completi ed emotivamente intensi
della discografia dei Gotthard.
Con qualche canzone in meno saremmo qua a parlare di un buonissimo
disco, magari ancora non all'altezza delle migliori prove offerte
in passato dalla band svizzera, ma anche così mi sento di promuovere
gli sforzi del quintetto elvetico. ABe
Altre recensioni: Lipservice; Domino
Effect
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