Gli Half Past Four sono una band dal carattere internazionale, vengono
dal Canada, ma tre membri sono di origine russa (di zone diverse),
il batterista Marcello Ciurleo è italo canadese e la cantante
Kyree Vibrant non si sa bene, ha un nome un po’ strano, del
resto il Canada è sempre stato un paese ad alto tasso migratorio.
Questo mix ha dato origine ad un sound complesso e poco riconoscibile,
che nulla ha del rock canadese per come lo conosciamo. Good Things
è il terzo album della band ed è all’insegna di
un prog molto elaborato, che dimostra una buona personalità.
Il simpatico artwork è ispirato al tema della cucina ,come
posto dove si fanno le cose insieme per ottenere… “buone
cose”. L’avvio è nervoso, poi entra Kyree e l’impianto
diventa jazzato, anche se la matrice rock è sempre ben viva.
Il linguaggio degli HPF è complesso, è fatto di pop
evoluto, prog classico e post moderno, jazz e talvolta anche world
music, sembra che non abbiano confini che non la loro fantasia e su
tutto la calda voce di Kyree, che ricorda un po’ Cristina degli
ottimi Magenta. Il disco si dipana su dodici brani ben congegnati
e abbastanza diversi tra loro, dando l’impressione di una buona
capacità compositiva dei nostri, impressione che non viene
mai meno. Ai passaggi morbidi e piacevoli spesso a sorpresa arrivano
svisate quasi dissonanti come in “All Day and All Night”
che ha un ponte davvero da brividi. Altro ottimo esempio di quello
che dico è “Rise” che ha una parte centrale molto
divertente, tra surf music e svisate prog di grande spessore. Il disco
grazie a questa complessità cresce ascolto dopo ascolto e continua
ad offrire nuove chiavi di lettura all’ascoltatore attento e
affamato di particolari. Il folklore arriva quando meno te lo aspetti
con la zappiana “Spin the Girl”, follia al servizio del
divertimento. Ma anche verso la fine del disco ci sono ancora zampate
malandrine con la dinamica “Darkness Knew”. Si chiude
in bellezza il disco con i tempi complessi di “The Earth”,
che presenta delle geometrie armoniche davvero inquietanti.
Good Things non è un disco facile, ma richiede diversi ascolti
per entrare a fondo, un modo di dire un po’ abusato nelle recensioni
se volete, ma in questo caso è più vero che in molti
altri. Gli HPF sono una band di valore e se vi piace un prog che non
sia la brutta (o bella) copia di qualcosa di già sentito, provate
a dargli un ascolto. GB
Altre recensioni: Rabbit in the Vestibule;
Land of the Blind
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