| Dopo 
            anni di amara e sofferta attesa, finalmente Mr "The Voice of 
            Rock" ha toccato l'italia con il tour a fianco di Joe Lynn Turner 
            e io non potevo perdermi questo evento.
 A supporto dei due leoni del british rock si esibiscono due gruppi 
            pressoché sconosciuti. I primi a salire sul palco sono i giapponesi 
            Blind Faith, band del chitarrista Kelly Simonz, che 
            si sta facendo notare per la sua tecnica mostruosa, davvero molto 
            simile a quella di Malmsteen, tanto che viene considerato un suo clone. 
            Il trio nipponico da prova di grandi doti tecniche e il repertorio 
            spazia con naturalezza dal metal neoclassico al blues. Veramente notevoli, 
            con una sezione ritmica coinvolgente. Anche se nessuno oggi sente 
            il bisogno di un nuovo guitar hero non è detto che in futuro 
            Kelly non sia in grado di far parlare ancora di se.
 
 A seguire salgono i tedeschi Domain, formatisi sulle 
            ceneri di una gloriosa band tedesca degli anni settanta: gli Epitaph. 
            Incisero il primo disco a nome Kingdom, ma cambieranno subito il nome 
            in Domain per non essere confusi con i Kingdom Come, ma oggi (con 
            mia grande delusione) del vecchio gruppo è rimasto solo il 
            secondo chitarrista. Il loro pomp metal, molto epico, è particolarmente 
            divertente e si sente che l'audience si scalda. Il chitarrista Axel 
            Ritt sfodera un look anni ottanta devastante e i suoi solos sono molto 
            azzeccati: se non arriva alla tecnica del giapponese lo supera col 
            cuore, mentre il vocalist dimostra grandi doti sia come interprete 
            che come frontman raccogliendo con facilità i consensi del 
            pubblico. Il gruppo è soprattutto divertente e la platea ringrazia 
            la band con un'accoglienza calorosa.
 
 Ora però è il momento dell'esibizione che tutti stavano 
            attendendo con ansia palpabile e quando i cinque musicisti salgono 
            sul palco vengono accolti da un vero boato. Glenn si occupa personalmente 
            del basso e sfodera una grinta insospettabile, un vero trascinatore, 
            che pompa sullo strumento in modo irresistibile. "Devil's Road" 
            è la prima traccia, poi inizia un viaggio della memoria che 
            parte dai Deep Purple, passa per i Rainbow e ritorna all'ultimo disco 
            in studio degli HTP. La scaletta è più o meno identica 
            a quella del CD live appena uscito, con una vera sorpresa: l'esecuzione 
            ad alto tasso nostalgico di "Seventh Star". L'apice dell'esibizione 
            è senza dubbio "Mistreated", con il chitarrista JJ 
            Marsh che suona come Blackmore e Hughes che incanta la platea con 
            la sua interpretazione sofferta e inarrivabile. Gli altri musicisti 
            sono Joakim Svalberg alle tastiere, penalizzato da un pessimo suono 
            e il dinamico Thomas Broman alla batteria, mentre anche Turner imbraccia 
            la chitarra in vari brani.
 
 Fra Glenn e Joe non c'è rivalità, il primo funziona 
            meglio nelle parti alte e il secondo in quelle basse, ma i due sul 
            palco si muovono da grandi amici lanciandosi a vicenda e scherzando 
            volentieri. Uno spettacolo imperdibile, forse un po' troppo legato 
            al passato, ma che fa un gran bene al cuore. GB
 
 Recensioni: HTP 1; Live 
            in Tokyo
 
 Artisti correlati: Glenn Hughes; Brazen Abbot
 |