Nonostante i tre anni passati, ricordo ancora il precedente lavoro
degli svedesi Introitus, il secondo della loro discografia, un progetto
nato quasi per divertimento su iniziativa del tastierista Mats Bender
e della moglie e cantante Anna Jobs. Negli anni il progetto ha preso
sempre più corpo e ora abbiamo una vera band, anche se Bender
fa quasi tutto, dalla composizione alla produzione, mentre la moglie
è l’autrice di tutti i testi, poi in formazione ci sono
altri due Bender, forse i figli? Ma in fondo quello che conta è
la musica, quindi andiamo all’ascolto senza pregiudizi.
Ormai inevitabile l’intro in quasi ogni disco prog, in particolare
se c’è un concept che lega i brani (anche se non mi è
dato sapere se anche in questo caso c’è una storia sottostante),
è abbastanza scontato. È vero non volevo farmi influenzare
dai pregiudizi, ma questo disco sembra insinuarli fin dalla bella
copertina molto curata, del resto non è che alcune impressioni
debbano per forza essere negative o sbagliate.
“Broken Glass” deflagra con un giro vorticoso, quasi crimsoniano,
è un continuo cambio di tempo, con stacchi che ora si fanno
sinfonici, ora space rock, poi entra il cantato con delle linee melodiche
che stemperano la tensione iniziale e non mi fanno esultare. In “Who
Goes There” Anna mi ricorda molto Lana Lane, poi entrano delle
melodie orecchiabili che contrastano con le linee taglienti della
chitarra, ma il mix è piacevole. “Slipping Away”
è una suite dai tonici romantici, che rischia di essere scambiata
per una ballatona, in realtà ci sono partiture strumentali
di tutto rispetto al suo interno. Vale lo stesso discorso anche per
il brano seguente. “Free” invece è più dura,
ancora una volta ottime le parti strumentali, con qualcosa che ricorda
anche i Kaipa. Chiude la suite che dà il titolo all’album,
un brano molto variegato, fra new prog, svisate sinfoniche e grandi
aperture si snoda un brano che mostra i pregi di questi artisti, che
a volte sembrano un tantino autocelebrativi, ma che sanno anche regalare
delle buone emozioni.
Rispetto al lavoro precedente, questo è meno oscuro, ma nel
complesso la direzione è la medesima, c’è una
buona crescita e un discreto lavoro di orchestrazione, Bender e compagni
ce l’hanno messa tutta per fare un buon disco e si sente, suonano
alla grande, anche se resta ancora un lavoro più per appassionati
di classico prog rock che non per più ampie platee. GB
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