Rock Impressions

Introitus - Anima INTROITUS - Anima
Progress Records
Distribuzione italiana: ?
Genere: Prog
Support: CD - 2014


Nonostante i tre anni passati, ricordo ancora il precedente lavoro degli svedesi Introitus, il secondo della loro discografia, un progetto nato quasi per divertimento su iniziativa del tastierista Mats Bender e della moglie e cantante Anna Jobs. Negli anni il progetto ha preso sempre più corpo e ora abbiamo una vera band, anche se Bender fa quasi tutto, dalla composizione alla produzione, mentre la moglie è l’autrice di tutti i testi, poi in formazione ci sono altri due Bender, forse i figli? Ma in fondo quello che conta è la musica, quindi andiamo all’ascolto senza pregiudizi.

Ormai inevitabile l’intro in quasi ogni disco prog, in particolare se c’è un concept che lega i brani (anche se non mi è dato sapere se anche in questo caso c’è una storia sottostante), è abbastanza scontato. È vero non volevo farmi influenzare dai pregiudizi, ma questo disco sembra insinuarli fin dalla bella copertina molto curata, del resto non è che alcune impressioni debbano per forza essere negative o sbagliate.

“Broken Glass” deflagra con un giro vorticoso, quasi crimsoniano, è un continuo cambio di tempo, con stacchi che ora si fanno sinfonici, ora space rock, poi entra il cantato con delle linee melodiche che stemperano la tensione iniziale e non mi fanno esultare. In “Who Goes There” Anna mi ricorda molto Lana Lane, poi entrano delle melodie orecchiabili che contrastano con le linee taglienti della chitarra, ma il mix è piacevole. “Slipping Away” è una suite dai tonici romantici, che rischia di essere scambiata per una ballatona, in realtà ci sono partiture strumentali di tutto rispetto al suo interno. Vale lo stesso discorso anche per il brano seguente. “Free” invece è più dura, ancora una volta ottime le parti strumentali, con qualcosa che ricorda anche i Kaipa. Chiude la suite che dà il titolo all’album, un brano molto variegato, fra new prog, svisate sinfoniche e grandi aperture si snoda un brano che mostra i pregi di questi artisti, che a volte sembrano un tantino autocelebrativi, ma che sanno anche regalare delle buone emozioni.

Rispetto al lavoro precedente, questo è meno oscuro, ma nel complesso la direzione è la medesima, c’è una buona crescita e un discreto lavoro di orchestrazione, Bender e compagni ce l’hanno messa tutta per fare un buon disco e si sente, suonano alla grande, anche se resta ancora un lavoro più per appassionati di classico prog rock che non per più ampie platee. GB

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