I
Kansas hanno scritto la canzone della vita, quella “Carry On…”
è stampata nel cuore di tutti, però personalmente non
ho mai apprezzato molto questa band. Dotati di una tecnica folgorante,
sono magniloquenti, pomposi, autocelebrativi, hanno sempre costruito
partiture dalla complessità strabordante, ma alla fine io di
emozioni, ascoltandoli, ne ho sempre provate poche. D’altro
canto non posso certo dire che le loro linee melodiche, le loro cavalcate,
dove spesso svetta il violino, non mi sembrino caleidoscopi musicali
pieni zeppi di colpi d’effetto e fuochi d’artificio, però
la vera bellezza, almeno per me, si cela in passaggi a volte tanto
semplici quanto potenti ed evocativi. I Kansas sono sempre andati
nella direzione opposta, alla ricerca dello stordimento dell’ascoltatore.
Questo nuovo album è così, ricco di momenti impeccabili,
come un vero classico del prog, con parti di cristallina bellezza,
cesellate con precisione matematica, ma anche ridondanti e giocate
spesso sull’esagerazione, non a caso, almeno seguendo il mio
ragionamento, il brano che più mi piace è la ballata
“Never”, con la band che dosa le fughe pirotecniche e
la melodia vince sui virtuosismi. Ma il resto del disco sembra una
vetrina allestita per le feste. Non posso certo negare la gran classe
e il fatto che sono davvero bravi a suonare, ma continuano a non emozionarmi.
GB
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