I sorprendenti Kingbathmat tornano col settimo album in undici anni,
la band inglese si è costruita un solido background senza il
supporto di nessuna major e di nessuna promozione, ma solo grazie
alla forza delle loro idee e devo dire che nella loro musica di idee
ne ho trovate davvero tante. Mostrano un linguaggio sapiente e ricco,
gente che prima di tutto ha qualcosa da dire. Le influenze sono tantissime,
si parte sempre dai grandi nomi come Pink Floyd, Gentle Giant, King
Crimson e VDGG, ma anche Porcupine Tree, e tanto post rock moderno,
il risultato è un sound personale, fra il prog più maturo
e l’heavy psichedelico a sfondo dark, un mix esaltante, che
offre momenti di pura estasi sonika.
Il disco è composto da sei brani piuttosto lunghi, solo uno
è sotto i cinque minuti, gli altri oscillano dai sette agli
undici, composizioni ricche e suggestive, piene di cambi d’atmosfera,
geometricamente complesse, tanto che è difficile farne un resoconto
esaustivo. Partenza in grande stile con l’imponente “Sentinel”,
riff pesanti e ritmo crescente, la band mostra subito muscoli e fantasia
e sono scintille, poi dopo un paio di minuti ecco un bridge pieno
di poesia sognante e belle melodie, tra suggestioni pinkfloydiane
e wilsoniane e tanto pop evoluto, più avanti ancora ecco un
bell’assolo in crescendo, i brividi si sprecano. Il finale poi
è tutto in ascesa, fino alla chiusura in cui terminano le belligeranze
e regna nuovamente la poesia. “Parasomnia” è anche
meglio, fra suggestioni post moderne e un tessuto incalzante, disegna
scenari post apocalittici da paura, ottimi gli intrecci ritmico armonici,
qui potete misurare tutto lo spessore di questa band sorprendente.
La title track è una traccia oscura, carica di tensione misterica,
splendidamente teatrale, mescola abilmente Black Sabbath e Gentle
Giant. “Superfluous” è uno dei brani più
propriamente prog del lotto, forse quello più vicino a quanto
possiamo già aver ascoltato, ma comunque la band offre una
propria chiave di lettura, che premia l’ascolto, bello il finale
psichedelico. Anche “Reality Mining” ne segue la scia,
pur adottando canoni del tutto diversi, ottime armonie vocali costruite
su tempi dispari e una ricerca meticolosa dei suoni, ancora grande
musica. Chiude “Kubrick Moon” e ancora una volta la band
si eleva in nuovi vertici espressivi, è quasi una suite di
oltre undici minuti, dove si ascolta davvero di tutto, vertice espressivo
di tutto il disco, ogni parola in più sarebbe superflua.
Se mi aveva colpito il disco precedente, questo mi ha totalmente conquistato
e mi sento di accostare i Kingbathmat (posso dire che il nome è
orribile?) ai più grandi del prog rock di sempre, credetemi
è una band che amerete senza riserve. GB
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