Avevo lasciato Richie con l’ottimo Change ed ecco che lo ritrovo
con un nuovo album fresco e graffiante. Kotzen rimette in primo piano
il feeling e il rock suonato con grinta e passione, relegando i virtuosismi
di cui è capace ad una parte secondaria e questo mi piace molto.
La sua chitarra erutta energia e si concede con generosità,
pochi assoli molto ben piazzati e ritornelli che si stampano subito
nel cuore.
“You Can’t Save Me” apre in questa logica e non
poteva essere più azzeccata di così, anche se il nostro
mi sembra voler imitare Kravitz, un’impressione che avevo avuto
anche in passato. Un brano molto rock, molto sguaiato e rude, che
graffia e urla di rabbia e frustrazione. “Misunderstood”
a tratti mi ricorda l’hard rock di Glenn Hughes, ma anche Sonic
Temple dei Cult mescolati con i grandi Badlands di Voodoo Highway,
nulla si crea e nulla si distrugge. Per quanto possa sembrare banale
l’accostamento “Fear” mi è sembrata molto
zeppeliniana. Molto più americana è “The Shadow”,
che ha una melodia molto scontata, ma anche molto piacevole, una potenziale
hit. “Doin’ What the Devil Says to Do” è
una ballad sporca e malsana, Kotzen vuole vestire i panni dell’artista
maledetto e sembra riuscirci. Grande blues con “Till You Put
Me Down”, che riscatta il deludente album Slow, grande assolo
nel finale. “Sacred Ground” è un buon hard rock
venato di blues, non particolarmente innovativo, ma sincero e onesto,
molto bello il riffing. Altro brano hard alla Free/Bad Company è
“Your Lies”, che sfiora il plagio, ma che si salva per
il chitarrismo del nostro. “Livin’ in Bliss” è
la seconda ballad, molto più convenzionale della prima, vero
e proprio filler. A sorpresa anche la conclusiva “My Angel”
(del resto con un titolo così) è una ballad blueseggiante,
che presenta un buon assolo, ma che è anche un po’ troppo
scontata.
Nel complesso Kotzen si dimostra essere un buon musicista, ma in questo
disco ci sono anche troppi momenti deboli, non bastano quattro o cinque
canzoni sopra le righe per salvare un disco, che rimane bello, ma
che non è certo indispensabile. GB
Atre recensioni: Slow; Change |