Tornano
dopo un lungo silenzio i norvegesi Kvazar con il seguito del debut
album uscito nel 2000. Il disco d’esordio mi aveva colpito per
l’ecletticità di questo combo e devo riconoscere ai nostri
di aver prodotto un secondo album ancora più bello e intenso.
La formazione si è dimezzata e presenta Andre Jensen al mellotron,
tastiere varie, mandolino e voce, Ronny Borge Johansen al synth e
al mellotron e Kim Lieberknecht alla batteria, ma compaiono vari guest
fra cui anche dei vecchi compagni.
Il sound si rifà a quello della scena nordica in generale con
richiami che vanno ai King Crimson, agli Anglagard e al folk, con
un’attitudine molto settantiana e sperimentale, non in senso
retrò, ma identificabile in una ricerca artistica molto aperta,
in un modo di suonare che non si pone degli schemi prefissati, ma
spazia con grande libertà espressiva.
L’introduttiva “Flight of Shamash” propone un cantato
in stile gregoriano su un crescendo onirico di buon effetto, una proposta
che porta subito l’ascoltatore su un livello piuttosto alto,
si tratta comunque di una soluzione molto sperimentale, che nella
sua novità nasconde i limiti di un brano di difficile lettura
che dura forse un po’ troppo. “Choir of Life” introduce
le sonorità folk di cui ho accennato prima, il mandolino si
integra in modo sorprendente nel sound del gruppo. Non è passata
l’abitudine del gruppo di inserire dei brevi intermezzi senza
titolo, in questo caso aprono e chiudono il pezzo del cd che più
mi ha colpito, “Dreams of Butterflies”, dove poesia e
forza espressiva si sposano in un matrimonio molto riuscito. “Spirit
of Time” ricalca alcune idee già espresse, anche se presenta
qualche aspetto inedito, certe progressioni roventi che soffiano come
un vento torrido sull’ascoltatore. Simile è “Desert
Blues”, dove il gruppo approfondisce il proprio sound senza
introdurre particolari attrattive. Più interessante la jazzata
“Sometimes”, con un cantato intrigante. La title track
è ancora magia, un brano più teatrale dove il gruppo
infonde tutto il proprio gusto. Non di meno è l’incantevole
“Dark Horizons”.
L’attesa è stata lunga, ma il gruppo ha saputo mettere
a frutto i propri talenti e il risultato è questo splendido
album di grande progressive rock. GB
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