INTERVISTA
AI MANGALA VALLIS di Giancarlo Bolther Dalle foto sul libretto del CD non sembrate musicisti di "primo pelo" però la bio non parla del vostro passato, cosa avete fatto, musicalmente parlando (e non), prima di formare i Mangala Vallis? Mille e mille esperienze che hanno toccato generi anche diversi e “the book of dreams” le raccoglie tutte, anche se affonda le sue radici nel lontano 1975 quando insieme militavamo in una band di art rock che si chiamava “G.S.M.”(Gruppo di Studio Musicale). La nostra formazione musicale coincide con uno dei periodi creativi più fertili, ovvero quello del rock progressivo dell’inizio degli anni settanta. Considera che la nostra città è sempre stata tappa privilegiata dei più importanti tour del periodo e che band come Genesis, King Crimson,Gentle Giant e Van Der Graaf Generator sono stati la nostra “scuola”. Ti parlavo di esperieze anche molto lontane dal prog ma ritengo che ognuno di noi ha vissuto tutta la musica che ha suonato secondo una filosofia precisa una vera e propria, ”attitudine progressiva”, che ci hai permesso piena libertà artistica e che non si è fermata ad una sola possibilità espressiva Negli ultimi sei anni ho suonato con i C.S.I. e il fatto che ora sia il batterista, nonchè uno dei fautori, del progetto “Mangala Vallis” dimostra quanto le divisioni in generi siano un escamotage per codificare qualcosa: la creatività, che non ha confini prestabiliti. In questo senso mi riconosco pienamente in una affermazione di Steve Hackett che diceva: ”La musica è come una grande tavola imbandita di ogni ben di Dio, perchè soffermarsi ad assaggiare un solo tipo di cibo?” Che cosa significa il vostro nome? “Mangala Vallis” è il nome di un canyon di Marte, che ho trovato leggendo il libro di fantascienza “Sfera” di Michael Crichton. Com’è nato il nuovo disco, tempi di registrazione, difficoltà, aneddoti? “The book of dreams” è il frutto di tre anni di lavoro ed è da considerarsi un vero e proprio atto d’amore. Alla base di tutto esiste un desiderio di recupero, che non passa esclusivamente dalla musica. La filosofia che permea tutto il progetto è riposta nel bisogno di dare voce alla nostra creatività vivendola secondo tempi e ritmi assolutamente naturali. Non ci siamo mai posti scadenze, e così siamo passati da una prima stesura dei brani ad un lavoro di arrangiamento e rifinitura. Fin da subito abbiamo sentito il desiderio di realizzare un concept album, e così ci siamo trovati d’accordo sul rendere in musica il mondo fantastico di Giulio Verne, grande scrittore di fantascienza. Per fare questo ci siamo avvalsi della penna di Eugenio Carena, scrittore e pittore, che ha composto i testi. La fase finale è stata quella di trovare le voci adatte ad interpretarli. Tale “responsiabilità è ricaduta” su Vic Fraja, Matteo Setti e sull’inossidabile e grandissimo Bernardo Lanzetti, già voce degli “Acqua Fragile” e della “P.F.M.”. In tutto questo tempo di aneddoti e difficoltà ce ne sono stati talmente tanti da scrivere un articolo a parte, quello che posso dire è che sono stati importanti per temprare maggiormente noi e l’album. Mi volete descrivere il concept sottostante The Book of Dreams? "The Book of Dreams” si snoda in otto episodi concatenati, un viaggio avventuroso che parte dall’interrogativo che il protagonista si pone: “La fine è l’inizio?”, cioè dove arriveremo, dopo tante vicissitudini? Qual'è, in realtà, il luogo da dove siamo partiti? La storia non risolve un altro aspetto che veniamo ad incontrare: il viaggio che il protagonista compie è reale o è solo un sogno, frutto della lettura accattivante ed emozionante di tanti libri fantastici? In ogni canzone ci sono disseminati degli indizi, piccole citazioni, riferimenti a luoghi dove, con l’immaginario, siamo o vorremmo essere stati. Così il viaggio diventa anche una riflessione su quello che ogniuno di noi vorrebbe trovare al di là della propria soglia, oppure è l’aspetto più coraggioso di tutti noi. “Il libro dei sogni” è dunque una piccola macchina del tempo, che ci può condurre nel regno della fantasia, facendoci magari pensare un pò. Se doveste fare voi il commento ai brani… Il risultato è andato molto oltre le nostre aspettative. Di certo sono lo specchio di molte cose. Se è vero che le radici della nostra musica affondano nel rock progressivo più classico, credo che “Mangala Vallis” dia voce a molto di più. I brani pur essendo particolarmente articolati, non fanno mai abbassare la tensione emotiva e anche le singole parti musicali sono state immaginate come “canti”. Il suono poi è sicuramente più spostato verso il nuovo millennio piuttosto che verso quello passato, più potente, più graffiante, ma allo stesso modo, non si è mai perso il sapore per certe timbriche retrò, parlo soprattutto delle tastiere dove Hammond, Mellotron e minimoog la fanno da padroni. Per voi The Book of Dreams è più un punto di arrivo, come coronamento di una passione coltivata da anni, o di partenza? Sicuramente di partenza. Personalmente ho molto apprezzato il sound e la resa del vostro disco, voi siete soddisfatti o c’è qualcosa che vorreste poter cambiare? Un musicista è una sorta di incontentabile, che un mese dopo la pubblicazione del suo ultimo album, vorrebbe già riprenderlo in mano per cambiare qualcosa. Tutti e tre siamo particolarmente pignoli, ma posso affermare che “The book of drems” sia esattamente ciò che desideravamo, e d’altra parte dopo quasi tre mesi dedicati al solo missaggio il nostro fonico, “Amek”, che aveva avuto modo di confrontarsi nella sua carriera anche con “gente” come “Emerson, Lake & Palmer” e “Peter Gabriel”, aveva già fatto domanda per poter entrare in un istituto di salute mentale. Mi vuoi raccontare com’è nato l’artwork del vostro booklet? Da sempre unisco alla passione per la batteria quella per la grafica, così anche l’artwork è nato da una mia idea che mio figlio Max, webmaster e genio della computergrafica, ha realizzato. Vuole dare l’idea di un manoscritto antico e molte parti interne sembra che arrivino direttamente da film come “20.000 leghe sotto I mari”. Il booklet contiene immagini che corredavano le edizioni originali dei libri di Verne. In particolare la pagina degli ospiti ricorda molto da vicino quelle degli Ayreon, è un omaggio o è una sorta di scherzo? Conosco gli “Ayreon”, credo ti riferisca in particolar modo alla rock opera “Into the electric castle”… ma sai di cose simili ce ne sono state anche molto prima. Comunque la vicinanza grafica di quel dettaglio è casuale. Avete avuto delle difficoltà per trovare un’etichetta che stampasse il vostro album? Davanti alla scelta di trovare un’etichetta o di farcela noi, abbiamo opotato per la seconda idea, per cui fondata la “Tamburo a Vapore Records” abbiamo contattato l’”Audioglobe”, che da subito ha amato il disco, e con la quale abbiamo siglato un contratto per la distribuzione. Che tipo di promozione avete pianificato, avete in previsione dei concerti? Oltre al lavoro svolto dalla “Audioglobe” e ad una capillare informazione nei siti progressive di tutto il mondo, ci stiamo preparando per portare dal vivo “The book of dreams”. Il live rimane sempre un bel biglietto da visita, ma siamo in costante contatto con la nostra distribuzione per valutare tutte le situazioni utili a divulgare il progetto. Stiamo lavorando molto in questo periodo alla possibilità di esibirci, di certo saranno al nostro fianco Fabio Mora alla voce e Andrea Bonetti al basso. Come stanno andando i responsi di critica e pubblico? I segnali sono molto positivi e questo non può che farci molto piacere, la domanda che ci fanno in molti suona un pò così: ”Caspita ma dove siete stati fino ad ora, che era un sacco di tempo che vi aspettavamo?”. Bèh, credo sinceramente che “The book of dreams” arrivi molto forte a persone anche diverse, perchè è la summa di molte cose, e trova il consenso di chi riesce a vivere la musica senza schemi prestabiliti, ma semplicemente lasciandosi trasportare emotivamente. Il vostro sound è molto settantiano, cosa vi spinge ad abbracciare uno stile così old fashioned? Bèh, noi con quella musica ci siamo cresciuti, per noi è assolutamente normale esprimerci secondo quegli schemi stilistici, e poi credo che sia ora di smetterla di definire il progressive “old fashioned” quando gruppi come gli “Oasis”, che hanno razziato a piene mani l’era “beat”, non sono mai stati accusati di “antiquariato”. Trovo strano che molti continuino a dare del rock progressivo una definizione così dispregiativa. La vostra bio cita le influenza più disparate e personalmente ho trovato la cosa un po’ esagerata, perché se da un lato è plausibile che conosciate tutti i gruppi citati, d’altro lato è praticamente impossibile racchiudere in un solo album tante influenze così diverse? I gruppi che citiamo come riferimento sono una parte dell’universo progressive e di quelli che, se pur molto diversi fra loro, abbiamo una conoscenza quasi maniacale. Credo che solo chi ha una visione completa di quell mondo sonoro, può riconoscere nella nostra musica certe affinità, ma sono solo spunti, filtrati secondo un nostro modo di comporre. Negli anni settanta in Italia il movimento prog ha conosciuto un periodo molto felice, secondo voi ci sono i presupposti perché questo possa ripetersi? Forse non a livello di fenomeno generazionale come allora, ma un margine di miglioramento esiste. E’ palpabile una assoluta carenza di conoscenza e cultura musicale nel nostro paese, che poi è il riflesso di altre carenze ben più importanti, ma per tornare alla tua domanda, credo che la musica cosiddetta alternativa (non esclusivamente il progressive) debba lottare con l’atteggiamento dei media, che non sono minimamente interessati a lei e lo stesso dicasi per le case discografiche. La situazione non è rosea, ma nonostante ciò un sacco di gruppi continuano a produrre musica e a sbattersi. Penso che in fondo non si sia mai smesso di comporre buona musica, il problema è come farla arrivare alla gente Di certo comunque si inizia ad avvertire il bisogno di qualcosa che artisticamente abbia un peso diverso e che non ti faccia pentire nell’arco di due giorni di aver buttato nel cesso i tuoi soldi per l’ultimo cd acquistato. Oggi il prog è tornato prepotentemente alla ribalta, seguite la scena attuale, c’è qualcosa che vi piace e cosa non vi piace? Ci sono molte cose buone, gli “Spock’s Beard”, alcuni album dei “Porcupine Tree”. Non amiamo invece le band che danno più importanza all’aspetto tecnico che a quello compositivo. Secondo voi ha ancora senso oggi parlare di musica "prog", se si considera il fatto che nei presupposti del genere ai suoi albori c’era la ricerca di nuove strade espressive, mentre oggi i gruppi di new prog sembrano più continuare il discorso e spesso scadono nella ripetizione di certi cliché musicali? Forse ha più senso chiedersi se ha ancora "senso" parlare di “Musica”, visto che "tutto" è già stato detto e ridetto. Credo che l’aspetto più importante del progressive sia l’approccio nei confronti della composizione, un approccio che non esclude nessuna possibilità, che non contempla limiti oltre i quali non si può andare. Anche questo è andato dimenticato di questo movimento artistico, la totale libertà alla contaminazione. In fondo il “progressive” è stato il primo esempio di crossover. Che progetti avete, state già pensando al prossimo album? In questo periodo siamo assolutamente concentrati sulla promozione a “The book of dreams” e i progetti riguardano principalmente il far sapere alla gente che esistono i “Mangala Vallis”. GB Altre interviste: 2005 Recensioni: The Book of Dreams; Lycantrope |