Il Doom non è solo un genere musicale, ma è principalmente
un mezzo mistico. Sia suonare che ascoltare musica Doom significa
cercare una dimensione spirituale nella musica. Un medium per realtà
trascendenti, ecco allora che svaniscono canoni e definizioni. Il
Doom non si può giudicare, ma va prima di tutto vissuto. Allora
per ascoltare un disco di questo genere bisogna spogliarsi di pregiudizi
e prepararsi ad un viaggio, ad una profonda esperienza interiore.
Il debutto dei francesi Northwinds mi aveva folgorato per la sua impressionante
forza evocativa, per la sua incredibile miscela di Black Sabbath,
Jethro Tull e Prog oscuro e non vedevo l'ora di poter ascoltare il
seguito di quel memorabile disco. Ci son voluti tre anni di attesa
e nel frattempo il progetto ha continuato ad arricchirsi con nuovi
brani e idee, che oggi ritroviamo raccolti in questo splendido album.
Apre a sorpresa il disco un intro di Steve Sylvester, che ritroveremo
anche nell'outro, e che ci cala subito in un mondo oscuro e misterioso,
si apre è un viaggio in una realtà che fonda le sue
origini nella cultura celtica e pagana del nord Europa, ritroviamo
i luoghi dove si sono aggirati i druidi come Merlino, dove la magia
e l'esoterismo sono le risposte alla superficialità contemporanea,
dove il bianco e il nero prendono il posto del piatto e monotono grigio
delle nostre città. Si apre il libro e scorrono i versi ora
dolci e sereni, ora forti e imperativi, ma che non possono lasciare
indifferenti. La formula sonora del disco d'esordio viene ripresa
e amplificata, i sulfurei riffs sabbathiani vengono inframmezzati
da passaggi prog di grande intensità e spessore, ogni riferimento
è approfondimento e interiorizzazione di un percorso artistico
che ha affascinato molti appassionati e che raramente è stato
interpretato con tanta bravura. "Over The Mountain" parte
con un riff a metà strada fra i Sabbath più ispirati
e i primi Led Zeppelin, poi si apre una sezione lenta e stupendamente
romantica che lascia il posto ad un hammond maledetto preludio ad
un finale moderatamente progressivo. "Entre Chien et Loup"
è una stupenda suite di quasi sedici minuti, è un brano
dalla forte carica evocativa, uno degli episodi migliori del disco.
"Broceliande" è un'altra song sorprendente che parte
come un adagio dei Pink Floyd, ma si trasforma ben presto in un sabba
dal sapore antico e non è finita perché c'è spazio
anche per una efficace ballata celtica trascinante.
Tutti i brani sono memorabili, ogni pezzo ha una storia da raccontare,
ognuno è una porta verso nuove dimensioni, un labirinto dove
è piacevole perdersi. GB
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