Ricordo ancora la prima volta che ascoltai il debutto dei parigini
Northwinds dal titolo Great God Pan, era il 1998. Il loro mix di prog
e doom mi aveva conquistato subito, ma dopo il secondo album Master
of Magic del 2001 avevo perso le loro tracce. Nel frattempo la band
ha prodotto altri due dischi, Chimires nel 2005 e Winter nel 2012,
non si può certo dire che siano stati molto prolifici. Questo
nuovo album è parte di un concept che è iniziato col
precedente Winter. La band nel frattempo ha subito alcuni cambi, ma
sostanzialmente il sound è rimasto fedele, continuando a proporre
un mix di doom e prog.
La title track inizia con un intro dal sapore cinematografico, che
presto si tramuta in un doom sabbathiano lento ed ossessivo, l’atmosfera
è satura e molto oscura, mette quasi a disagio l’ascoltatore
incauto, un brano spettrale decisamente potente. La seguente “Chimeres”
non è da meno, il ritmo è sempre lento e drammatico,
ma ci sono diversi cambi d’atmosfera e il cantato è in
francese, ad un certo punto parte un riff che sembra essere un chiaro
omaggio a Symton of the Universe dei maestri di Birmingham. “Crossroads”
è meno doom e più prog, ma l’atmosfera oscura
permane intatta in tutta la sua forza evocativa. “From the Cradle
to the Grave” è il primo brano che si discosta dai precedenti
offrendo una rilettura del blues abbastanza personale, a tratti zeppeliniana,
ma l’hammond ricorda anche altri eroi del passato, il mix comunque
è davvero personale. Peccato per il suono della puntina che
gratta sul disco, che ho sempre sofferto e di cui non sentivo nessuna
nostalgia. Il doom carico di pathos torna con la sofferta “A
Light For the Blind”, ma il brano è molto lungo e contiene
una sezione neoclassica e una vagamente psichedelica, ne esce una
composizione complessa e interessante. “Under Your Spell”
propone un piglio più energico, quasi metal, anche se non mancano
elementi prog, un’altra prova di grande maturità. “No
Peace at Last” è un brano inquietante nel suo incedere
apparentemente mellifluo, ma al tempo stesso carico di tensione e
mistero, che ricorda in un certo senso i Goblin. Non a caso segue
senza soluzione di continuità la travolgente “Inferno”,
una piece selvaggia e decisamente metal.
Ho amato questa band fin dal primo ascolto e ritrovarli oggi, dopo
diversi anni, così in forma mi ha fatto davvero piacere. Tutte
le buone impressioni avute trovano in questo disco piena conferma.
GB
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